Il provvedimento è del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per motivi di opportunità, dopo che la procura di Torino ha chiuso le indagini sulle presunte violenze: il direttore Domenico Minervini, e il comandante della polizia penitenziaria, Giovanni Battista Alberotanza, risultano tra i 25 indagati. Entrambi sono accusati di favoreggiamento, il direttore anche di omessa denuncia
Entrambi sono accusati di favoreggiamento, il direttore anche di omessa denuncia. Figurano tra i 25 indagati nell’inchiesta del pm Francesco Pelosi: secondo chi indaga, hanno sempre coperto gli episodi di violenza – in alcuni casi è contestata la tortura – ai danni dei detenuti del carcere Lorusso-Cutugno. Per questo il direttore dell’istituto di Torino, Domenico Minervini, e il comandante della polizia penitenziaria, Giovanni Battista Alberotanza, sono stati rimossi dal loro incarico. Il provvedimento è del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per motivi di opportunità, dopo che la procura di Torino ha chiuso le indagini sulle presunte violenze. Minervini, riporta l’Ansa, è stato messo a disposizione del provveditorato, mentre Alberotanza è stato distaccato ad Asti. A Torino dovrebbe diventare direttore Rosalia Marino, che attualmente ricopre analogo incarico al carcere di Novara.
Sono decine le violenze denunciate dai detenuti del carcere Lorusso-Cotugno di Torino e nelle relazioni della Garante dei diritti delle persone private delle libertà, Monica Gallo. Violenze che le guardie carcerarie, stando ai racconti e gli accertamenti svolti in fase di indagine, hanno operato nei confronti dei detenuti più fragili, quelli che dimostravano qualche scompenso psichico. Secondo la ricostruzione dell’accusa, sono stati obbligati a spogliarsi, venivano picchiati e costretti a ripetere frasi come “sono un pezzo di m…“. Le loro celle venivano devastate. Per questo, dopo la denuncia del Garante, già lo scorso ottobre erano state eseguite sei ordinanze di arresti domiciliari per altrettanti agenti della polizia penitenziaria. Tra le ipotesi di reato per gli altri indagati lesioni e per alcuni, la tortura, mai contestata prima in un’inchiesta che riguardasse fatti avvenuti in carcere. Nelle carte la procura descrive quanto emerso come una serie di “condotte che comportavano un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona detenuta”.
Un’inchiesta lunga e complessa anche su fatti risalenti anche al 2017 quando iniziano a circolare le prime voci di detenuti picchiati e umiliati da guardie. Proprio il 26 ottobre del 2017, durante un’iniziativa organizzata da ‘Nessuno tocchi Caino‘, un detenuto nigeriano denunciò davanti al direttore, Domenico Minervini, di essere stato picchiato selvaggiamente da un agente di polizia penitenziaria. Nel video, disponibile nell’archivio di Radio Radicale, si vede un altro detenuto italiano rivolgere a Minervini la richiesta di andare in fondo alla denuncia del giovane nigeriano perché, dice il detenuto italiano, “è ancor più grave picchiare in carcere uno straniero che non capisce la nostra lingua e non conosce le nostre leggi”. Il direttore, nel video, risponde che le accuse fatte “sono precise e gravi” e promette che andrà a verificare l’accaduto anche, se aggiunge, che i detenuti hanno molte strade per denunciare ciò che accade in carcere, ad esempio nei colloqui con i propri legali.
A ricordare l’episodio è Sergio Segio, ex di Prima Linea e ora impegnato nel sociale, presente all’iniziativa di quell’ottobre 2017. “Proprio nell’anno e nei mesi nei quali, secondo l’inchiesta chiusa in questi giorni, sarebbero avvenute le violenze contro i detenuti – dichiara Segio – presente il direttore, un detenuto nigeriano, con nome e cognome, denuncia di essere stato picchiato, mostrando anche i segni sul petto. Poco dopo, dal pubblico, un altro chiama in causa in modo più chiaro Minervini, chiedendogli di intervenire, mentre lui svicola”. Secondo Segio, dunque, “una notizia di reato avvenuta nel carcere di Torino era stata pubblicamente denunciata già nel 2017 davanti al direttore, ma nulla successe e quel clima di violenze è rimasto nascosto ancora per anni”.