In Aula i partiti di governo sono compatti e al Senato toccano quota 170, ma per il rinnovo delle presidenze di metà legislatura l'accordo traballa e non regge alla prova del voto segreto. Quello di Grasso non è l’unico incidente nelle votazioni. Malumori tra i grillini: dieci membri della Commissione Finanze alla Camera vengono "trasferiti" dopo le proteste per la nomina del renziano Marattin
In aula la maggioranza dimostra compattezza su temi decisivi per il futuro del Paese come lo scostamento di bilancio da 25 miliardi e il piano nazionale delle riforme, con un risultato che raggiunge addirittura i livelli della prima fiducia ottenuta dall’esecutivo a settembre 2019. Ma quando si tratta di poltrone i partiti di governo sbandano. Oggi in Parlamento era previsto un altro appuntamento decisivo: cioè il rinnovo di metà legislatura delle presidenze delle Commissioni parlamentari. E l’accordo tra Pd, M5s, Leu e Italia Viva non regge alla prova del voto segreto. Di mezzo ci va l’ex procuratore nazionale antimafia ed ex presidente del Senato Piero Grasso. Per lui era stata destinata la guida della commissione Giustizia a Palazzo Madama, ma al momento della votazione l’ha spuntata l’avvocato leghista Andrea Ostellari, avvocato padovano, nominato due anni fa dalla maggioranza gialloverde. “Fatto di estrema gravità“, commentano i capigruppo di Leu, chiedendo “un chiarimento immediato all’interno della maggioranza”. E scoppia il caso politico: in base a quanto si apprende, il ministro Roberto Speranza ha lasciato i lavori del Consiglio dei ministri sullo stato di emergenza, ritenendo “inaccettabile quanto avvenuto”. Alla Camera, invece, rivolta contro la nomina del renziano Luigi Marattin in commissione Finanze. Dieci membri del Movimento 5 stelle sono stati “trasferiti” a un’altra commissione a causa del dissenso nei suoi confronti.
Quella delle Commissioni è una partita delicatissima – che si intreccia con altri dossier sul tavolo dei giallorosa – e a lungo attesa dal governo. Chi siede a capo di una Commissione, infatti, può orientare i lavori, influire sul calendario e di fatto esercitare un potere politico determinante quando si creano divisioni. Finora tutto era in mano ai parlamentari eletti da Lega e 5 stelle nel 2018, ma a metà legislatura avviene il rinnovo. Così nelle ultime settimane i capigruppo dei partiti alleati si sono incontrati svariate volte (quattro solo nelle ultime 24 ore) per raggiungere un’intesa. Non senza malumori tra i 5 stelle, che speravano di strappare per sé otto presidenze anziché sette, e tra le correnti interne al Partito democratico. Le votazioni sono iniziate intorno alle 19, ma subito ecco arrivare il primo incidente di percorso: la maggioranza è andata ko in Senato sulla nomina in commissione Agricoltura. La Lega ha confermato la poltrona a Gianpaolo Vallardi, mentre è stato battuto il candidato avversario, il M5s Pietro Lorefice. Vallardi ha avuto 12 voti, Lorefice 10, più una scheda bianca. Sulla carta, l’opposizione aveva soltanto 9 voti.
“Dopo Gianpaolo Vallardi, anche Andrea Ostellari confermato presidente di commissione. Con il voto segreto vengono premiati il buon lavoro e la competenza della Lega. La maggioranza è in frantumi, completamente saltato l’inciucio 5Stelle-Pd”, ha attaccato il leader del Carroccio Matteo Salvini. Ma in Parlamento le votazioni sono andate avanti. Pd, M5s, Leu e Iv si sono aggiudicati 12 presidenze su 14 a Palazzo Madama (ne restano da votare altrettante alla Camera). Sei (e non sette, come prevedeva l’intesa) sono andate al Movimento 5 stelle: Vito Petrocelli agli Esteri, Susy Matrisciano alla Lavoro, Wilma Moronese all’Ambiente, Gianni Pietro Girotto all’Industria, mentre sono stati riconfermati Daniele Pesco alla guida della commissione Bilancio e Mauro Coltorti ai Lavori Pubblici. Il Partito democratico porta a casa quattro presidenze: Dario Parrini agli Affari costituzionali, alle Finanze Luciano D’Alfonso, l’ex ministra Roberta Pinotti alla Difesa e Dario Stefano alle Politiche Ue. Dopo la bocciatura di Piero Grasso resta a bocca asciutta Liberi e uguali, mentre Italia Viva piazza Riccardo Nencini alla Cultura e Annamaria Parente alla commissione Igiene e Sanità.
Alla Camera, invece, è la nomina di Marattin alle Finanze ad agitare gli animi della maggioranza. “L’unico precedente al trasferimento forzoso di deputati da una commissione era stato quello, ignominioso, del governo Renzi nel 2015 per l’ltalicum”, spiegano fonti pentastellate dopo lo spostamento di 10 membri in un’altra commissione. In realtà i malumori all’interno del Movimento erano trapelati già in giornata, quando un gruppo di deputati della commissione Esteri ha scritto una lettera al direttorio per protestare contro il nome del presidente designato dalla maggioranza. Si tratta del parlamentare dem Piero Fassino, poi effettivamente votato in serata. Altro caso è quello del renziano Catello Vitiello in commissione Giustizia – non previsto dall’accordo – tanto che ha annunciato di rinunciare subito all’incarico per fare posto al candidato M5s Mario Perantoni. “Sono giochetti del M5s, noi non ci stiamo”, spiegano fonti di Italia Viva, a testimonianza di quanto sia difficile per la maggioranza la prova del voto segreto. Via libera invece per la renziana Raffaella Paita ai Trasporti, la deputata dem Debora Serracchiani ai Trasporti, il pentastellato Gianluca Rizzo alla Difesa, il collega Brescia riconfermato agli Affari Costituzionali, mentre Alessia Rotta del Pd va alla guida della commissione Ambiente.