Depositate le motivazioni della sentenza del tribunale di Tempio Pausania che ha inflitto 8 anni ai genitori e alla zia: il ragazzino era segregato e maltrattato nella villetta di Arzachena. Il giudice: "Persone prive del benché minimo senso morale e di umanità, spietate e senza scrupoli"
La voce del diavolo, artefatta, registrata con il cellulare e trasmessa nella stanza buia dove veniva rinchiuso un bambino di 11 anni di Arzachena, nel Sassarese, vittima di segregazione e torture in quella che è stata ribattezzata “la villetta degli orrori“, era quella del padre. Insieme alla madre e alla zia, lo puniva e lo terrorizzava. “Persone prive del benché minimo senso morale e di umanità, spietate e senza scrupoli, le quali non hanno esitato ad abusare, letteralmente torturandolo, di un soggetto di minore età assolutamente indifeso e alla loro mercé”, scrive il giudice del Tribunale di Tempio Pausania, Marco Contu, nelle motivazioni della sentenza con cui, un mese fa, ha condannato a 8 anni per sequestro di persona e maltrattamenti i due genitori e una zia del ragazzino, ora 12enne, segregato e maltrattato nella villetta di famiglia, ad Arzachena. Motivazioni che sono state depositate ieri, 28 luglio, e che sono state anticipate dai quotidiani locali.
Per mesi il bambino ha subito le violenze fisiche e psicologiche dei genitori. Per educarlo veniva sistematicamente rinchiuso nella sua stanza, con porte e finestre sbarrate, al buio, privato anche del letto, due pagnotte rafferme e una bottiglia d’acqua per cibarsi e un secchio dove fare i bisogni. Per intimorirlo, il padre aveva registrato delle voci che, alterate per sembrare “sataniche”, lo minacciavano dicendogli di portarlo all’inferno se non si fosse comportato bene. Così trascorreva serate e nottate intere, mentre i genitori, di 47 e 47 anni, uscivano per andare a cene con amici e feste in famiglia. Come la notte del 29 giugno 2019, quando il bambino trovò la forza di comporre il 112 da un cellulare senza scheda telefonica e chiedere aiuto ai carabinieri. Arrivati nella villetta nelle campagne di Arzachena dove il bimbo era rinchiuso, i militari avevano potuto verificare il racconto della vittima. Ad aiutare nelle indagini anche i diari del bambino, in cui l’undicenne scriveva delle violenze subite e del desiderio di andarsene in seminario, perché in casa si sentiva triste. I genitori furono subito arrestati mentre la zia, considerata l’istigatrice del reato, finì in carcere qualche mese dopo. I tre, difesi dagli avvocati Marzio Altana, Angelo Merlini e Alberto Sechi, ammisero tutte le responsabilità giustificando quei metodi con la necessità di educare un bambino un po’ troppo vivace. “Accanimento maligno e per certi versi perverso”, lo definisce, invece, il gip Caterina Interlandi nella sentenza. “Non si tratta di follia, ma puramente e semplicemente di cinismo, di insensibilità e di deprecabile crudeltà nei confronti di un bimbo ritenuto a volte un ostacolo al trascorrere del tempo fuori casa per divertimento”.