Migliaia di rifugiati e migranti muoiono e molti subiscono gravi violazioni dei diritti umani durante i loro viaggi lungo le rotte dall’Africa occidentale e orientale verso le coste nordafricane del Mediterraneo, tra le più mortali al mondo. Lo denuncia un nuovo rapporto pubblicato dall’agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, e dal Mixed Migration Centre (Mmc) del Danish Refugee Council, intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori“, che descrive in che modo “la maggior parte delle persone in viaggio lungo queste rotte cada vittima o assista a episodi di inenarrabili brutalità e disumanità per mano di trafficanti, miliziani e, in alcuni casi, di funzionari pubblici”. Il rapporto segnala che almeno 1.750 migranti e rifugiati hanno perso la vita nel 2018 e nel 2019 durante questi viaggi. Si tratta di un tasso di almeno 72 morti al mese, un andamento che rende la rotta una delle più mortali al mondo per rifugiati e migranti. Per quanto riguarda il 2020, sebbene la maggior parte delle testimonianze e dei dati siano ancora in fase di ricezione, è certo che siano almeno 70 i rifugiati o migranti che sono rimasti vittima della tratta, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah, in Libia, a fine maggio. Proprio in Libia, solo nel 2020, sono stati registrati oltre 6.200 casi di abusi: dati che “mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone”, ha dichiarato Bram Frouws, responsabile del Mmc.
Secondo il rapporto, circa il 28% delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 lungo questa rotta si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid a sudest di Tripoli, e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez. “Per troppo tempo, gli atroci abusi subiti da rifugiati e migranti lungo queste rotte via terra sono rimasti largamente invisibili”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario Onu per i rifugiati. “Questo rapporto documenta omicidi e diffuse violenze della più brutale natura, perpetrati contro persone disperate in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. È necessario che gli Stati della regione mostrino forte leadership e intraprendano azioni concertate, col supporto della comunità internazionale, per porre fine a tali crudeltà, proteggere le vittime e perseguire i criminali responsabili”.
Per chi riesce a rimanere in vita il viaggio in Africa rimane comunque caratterizzato da esecuzioni sommarie, torture, lavori forzati e pestaggi. Secondo il documento, persone continuano a riferire di essere state vittime di violenze brutali, tra cui essere ustionati con olio bollente, plastica sciolta, od oggetti in metallo riscaldati, di aver subito scariche elettriche e di essere stati legati e costretti a posizioni di stress. Il rapporto riferisce che donne e bambine, ma anche uomini e bambini, sono a rischio elevato di divenire vittime di stupri e violenza sessuale e di genere, in particolare presso check-point e aree di frontiera, e durante le traversate del deserto. Circa il 31% delle persone intervistate dal Mmc che hanno assistito o sono sopravvissute a episodi di violenza sessuale nel 2018 o nel 2019, hanno vissuto tali aggressioni in più di una località. I trafficanti risultano essere stati i primi responsabili di violenza sessuale in Africa settentrionale e orientale, come registrato nel 60% e nel 90% delle testimonianze relative a ciascuna rotta, mentre in Africa occidentale, i principali responsabili di aggressioni sono stati funzionari delle forze di sicurezza, militari o di polizia, avendo commesso un quarto degli abusi denunciati.
Molte persone, inoltre, hanno riferito di essere state costrette dai trafficanti a prostituirsi o a soddisfare altre forme di sfruttamento sessuale. Tra gennaio 2017 e dicembre 2019, l’Unhcr ha registrato oltre 630 casi di tratta di rifugiati nel Sudan orientale, con quasi 200 donne o bambine che hanno denunciato di essere sopravvissute a violenza sessuale e di genere. Secondo l’Unhcr, c’è bisogno di sforzi maggiori per rafforzare le capacità di protezione delle persone che percorrono tali rotte e per assicurare alternative credibili e legali a questi viaggi pericolosi e disperati. Per questo, secondo l’agenzia, è necessaria una maggiore cooperazione tra Stati per identificare i responsabili di questi abusi e assicurare che rispondano della loro condotta.
Per quanto riguarda i migranti e rifugiati riportati in Libia, solo nel 2020 ne sono stati registrati oltre 6.200 casi, dopo essere stati intercettati dalla Guardia costiera libica mentre tentavano la traversata via mare per l’Europa. Una volta sbarcati, spesso sono “trattenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali, nei quali sono esposti quotidianamente ad abusi e vivono in condizioni raccapriccianti, oppure finiscono in ‘centri non ufficiali’ o depositi controllati dai trafficanti che li sottopongono a maltrattamenti fisici per estorcere loro pagamenti in denaro“. Secondo il documento, la cifra dei migranti riportati in Libia finora suggerisce che il dato finale di quest’anno probabilmente eclisserà quello di 9.035 persone ricondotte nel Paese registrato nel 2019. “I dati raccolti mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone”, ha dichiarato Bram Frouws, responsabile del Mixed Migration Centre. “Sebbene questo rapporto potrebbe non essere l’ultimo che documenta tali violazioni, arricchisce il crescente numero di prove che non possono più essere ignorate”. Secondo il rapporto, negli ultimi anni sono stati conseguiti progressi saltuari per rispondere alla situazione in Libia, con alcuni dei criminali responsabili degli abusi e delle morti sanzionati o posti in stato di arresto. Si è registrata, inoltre, una riduzione del numero di persone trattenute nei centri di detenzione ufficiali libici. L’Unhcr continua a chiedere di porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e richiedenti asilo ed è pronta a supportare le autorità libiche nell’individuazione e nel’implementazione di misure alternative alla detenzione.