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Open Arms, “ho agito con il premier Conte, era nel programma”. La difesa di Matteo Salvini prima del voto in Senato

Una decisione che arriva a Palazzo Madama nei giorni in cui la questione migranti, tra sbarchi e denunce di trattamenti inumani, è di nuovo entrata nell'agenda politica. Pallottoliere alla mano, occorrono 160 voti di cui non dispone il leader della Lega

“Io mi aspetto che qualcuno esprima dignità, onestà e correttezza, se devo andare a processo non sarà la prima volta. Io ho agito a difesa del mio Paese e quello che ho fatto l’ho fatto in compagnia del premier Conte, ho fatto quello che c’era nel programma di governo non ritengo che ci sia stato un errore o reato. Se qualcuno domani ritiene che sia un reato ne risponderemo in tanti. Vorrà dire che Conte mi accompagnerà un po a Catania e un po’ a Palermo e prenderemo una granita“. Il leader della Lega Matteo Salvini ripete la sua difesa. E lo fa nel corso di una conferenza stampa chi gli chiede cosa si aspetta domani dal voto in Senato sulla richiesta a procedere nei suoi confronti per il caso Open Arms. I senatori, dopo il voto contrario della Giunta per le autorizzazioni, si dovranno esprimere a maggioranza sull’ex ministro dell’Interno leghista, su cui pendono le accuse di “sequestro di persona plurimo aggravato e rifiuto di atti d’ufficio”. L’ex ministro dell’Interno e vicepremier è accusato di plurimo sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver trattenuto a bordo della nave – al largo di Lampedusa – 164 migranti poi fatti scendere su ordine del procuratore di Agrigento, dopo venti giorni. I fatti risalgono all’agosto 2019. L’inchiesta era stata aperta dalla Procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio e poi passata per competenza a Palermo. Per i giudici del Tribunale dei ministri non era possibile invocare ragioni di sicurezza. Un voto che arriva nei giorni in cui la questione migranti, tra sbarchi e denunce di trattamenti inumani, è di nuovo entrata nell’agenda politica.

Per Salvini invece “l’interesse pubblico coinvolto sia di limpida e cristallina evidenza sotto molteplici e svariati profili, che segnano inequivocabilmente la linea su cui si è articolata tutta l’attività della compagine governativa nella gestione dell’evento”. Nella memoria il leader leghista sottolinea che “da un attento esame dei fatti accaduti non può ritenersi sussistere nessuna violazione di norme penali in quanto la condotta che mi viene contestata è insussistente e comunque essa altro non è che un’automatica conseguenza delle scelte politiche effettuate dall’intera compagine governativa nel perseguimento dell’interesse pubblico a un corretto controllo e a una corretta gestione dei flussi migratori nonché a una piena tutela dell’ordine pubblico e, più in generale, un doveroso atteggiamento di salvaguardia delle prerogative costituzionali dello Stato italiano sulla scorta delle relazioni internazionali e del diritto internazionale in condizione di parità con gli altri Stati”. Sulla Open Arms per i giudici i migranti o versavano “in una situazione di grande disagio, fisico e psichico, di profonda prostrazione psicologica e di altissima tensione emozionale che avrebbe potuto provocare reazioni difficilmente controllabili, delle quali, peraltro, i diversi tentativi di raggiungere a nuoto l’isola costituivano solo un preludio”. Ma non solo avevano evidenziato “l’indiscutibile ruolo di primo piano svolto e, per certi versi, rivendicato dal ministro Salvini”.

Pallottoliere alla mano, occorrono 160 voti: sulla carta voti di cui non dispone il leader della Lega, che potrà contare sui suoi 63 senatori, su quelli di Fdi (17) e su quelli di Fi (56): in totale 136 no al processo. Per il sì al processo, invece il Pd (35) e il movimento Cinque Stelle (95) e Leu (5). In totale, di partenza, 135 voti. A cui però si dovrebbero aggiungere i 18 dei renziani che in Giunta, lo scorso 26 giugno, non hanno partecipato al voto, riservandosi una ulteriore valutazione in vista del voto in Aula. È stato lo stesso Renzi ieri sera a ribadire la posizione di Italia Viva: “Su Salvini noi leggiamo le carte e poi decidiamo”. Lo scorso febbraio, Palazzo Madama ha già detto sì al processo per l’analoga vicenda della nave della Guardia costiera, Gregoretti, con 131 migranti bloccati a bordo, lo scorso luglio, al largo di Augusta. In quel caso, in Aula, i voti finali furono 152 a favore del processo, 76 contrari. Un via libera che porterà, a ottobre, l’imputato Matteo Salvini in Tribunale a Catania di fronte al gup. A mandarlo a processo per la vicenda Gregoretti furono i senatori dell’attuale maggioranza giallorossa, dopo una battaglia procedurale scoppiata nella Giunta per il regolamento e il successivo ritiro dei membri di M5S, Pd e Leu dall’ultima seduta della Giunta per le immunità.

Salvini, invece, fu salvato dal processo, – nel febbraio del 2019 – quando ancora era al governo con i 5Stelle e il premier Conte: alla richiesta di processo per il caso Diciotti, sempre relativo allo stop di uno sbarco di migranti in Sicilia, avvenuto nel luglio del 2018, votarono compattamente i senatori dell’allora maggioranza, non prima di un voto su Rousseau che vide la base del movimento M5S chiedere, con il 60% dei voti, di non dare il via libera al giudizio sul leader leghista.