Alle 2,36 del mattino la Puglia viene commissariata sulla doppia preferenza. È il frutto dell’ultima, sfiancante, seduta del Consiglio regionale prima del gong finale. Una fine non certo gloriosa: la legge che garantisce la parità di genere nelle liste elettorali non passa. Un Consiglio regionale recidivo in materia: così come nel febbraio del 2015, nell’ultimo atto dell’era Vendola il voto segreto affossò la legge, cinque anni dopo l’Aula riserva lo stesso destino. Con la differenza che il governo centrale si sostituirà nelle funzioni. L’ultima chiamata era per la seduta del 28 luglio. L’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, su proposta del ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, lo scorso 23 luglio aveva inviato formale diffida: o la Puglia adeguava la legge elettorale regionale ai principi di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive entro il 28 o lo avrebbe fatto Roma.

La proposta di modifica, dunque, era stata presentata dalla giunta regionale: un testo asciutto per evitare una pioggia di emendamenti che potessero alimentare le questioni da sempre terreno di scontro tra maggioranza e opposizione: “Ogni elettore – recitava la modifica – dispone di un voto di lista e ha facoltà di attribuire massimo due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento della preferenza successiva alla prima, scrivendo i cognomi su ciascuna riga posta a fianco del contrassegno”. La Commissione competente, la VII, la approva. E tutto pare filare liscio. L’incombere delle tensioni diventa chiaro dopo che sono necessarie 4 ore per riunire più volte i capigruppo e la maggioranza, nel tentativo di trovare una strada senza ostacoli. Il presidente del Consiglio regionale, Mario Loizzo, annuncia l’avvio dei lavori dell’ultima seduta della legislatura, “nella speranza che non sia eccessivamente tormentata”. Speranza vana.

Quattro ore dopo, il quadro è chiaro: Fratelli d’Italia presenta 1946 emendamenti. Se ne aggiungono agli altri sette, presentati dai vari schieramenti. “Li ho firmati tutti io – dice il consigliere Francesco Ventola – li ritiro se ritirate tutti gli altri”. E da queste sabbie mobili, il Consiglio regionale non ne uscirà prima di 8 ore. Nemmeno tre sospensioni nella disperata ricerca di un accordo riescono a superare l’impasse. Ognuno resta fermamente ancorato alle proprie posizioni. Tutti si dicono d’accordo su due punti: inserimento della doppia preferenza con annullamento del voto se non di sesso opposto, rapporto 60-40 tra i due sessi dei candidati in lista. Il punto fortemente divisivo è sulle sanzioni. Per il Movimento 5 stelle occorre inasprire la sanzione pecuniaria prevista in caso di mancato rispetto dell’equilibrio 60-40: si chiede l’annullamento della lista. La maggioranza è d’accordo ma bisogna introdurla sin da subito, non attendere il 2025, altrimenti basterà pagare una multa per ovviare il problema. Il centrodestra non ci sta: o si ritirano tutti gli emendamenti e si torna al testo originale o si devono votare tutti i quasi 2mila emendamenti.

Tra questi ce n’è uno che crea subito la prima, grande, crepa tra le parti: l’incandidabilità dell’epidemiologo Pierluigi Lopalco. A presentarlo è Fratelli d’Italia che chiede il voto segreto. E qui la sorpresa che fa scatenare la bagarre: 28 voti a favore, 18 contrari. Tradotto: 8 franchi tiratori della maggioranza, coperti da voto segreto, affossano le ambizioni politiche dello scienziato. L’emendamento passa, quindi, Lopalco – e chiunque ricopra ruoli di collaborazione con l’ente Regione – si deve dimettere prima di candidarsi. La tensione si fa altissima. E’ durissimo lo scontro tra il governatore Michele Emiliano e il consigliere Ventola. Quest’ultimo, infatti, chiede che venga distribuita una copia dei 1953 emendamenti a tutti i consiglieri regionali presenti in aula. Significa attendere che gli uffici producano 97.650 fotocopie.

“Tutti devono avere piena cognizione di che cosa votano”, spiega Ventola, strappando provocatoriamente un foglio e gettandolo al centro dell’aula. “Vergogna – tuona dal suo scranno il governatore Emiliano – così prende in giro le donne della Puglia”, alludendo al fatto che la richiesta di fotocopiare quasi 100mila pagine sia solo un modo per temporeggiare, sollevando l’asticella dello scontro. L’ultima sospensione, voluta per tentare un accordo last minute, è la definitiva fumata nera. Spetta al capogruppo del Partito democratico, Paolo Campo, annunciare ufficialmente la resa: “Ho provato più di un tentativo per raggiungere l’intensa ed evitare il massacro. Piuttosto che stare qui a discutere di 2mila emendamenti farlocchi, ad adeguare la legge pugliese, ci penserà il governo”. Inutili le polemiche che pure sono seguite, il voto di un emendamento-compromesso, i banchi della maggioranza iniziano a svuotarsi: alle 2.36 manca il numero legale. Finisce così la decima legislatura. La Puglia non vota. Le donne non si salvano. Pierluigi Lopalco sì, l’emendamento che lo rende incandidabile decade con l’intero testo.

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