“Leggiamo le carte e poi decidiamo”. Ancora una volta Matteo Renzi tiene sotto scacco la maggioranza e aspetta fino all’ultimo prima di svelare le sue carte. Domani in Senato è previsto il voto per l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini: l’ex ministro dell’Interno è accusato di plurimo sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver trattenuto nell’agosto 2019 a bordo della nave Open Arms 164 persone, poi fatte scendere dopo venti giorni su ordine dei magistrati. Pd, Movimento 5 stelle e Leu sono compatti nel dire sì all’eventuale processo, mentre i renziani – che intanto sul tema migranti sfidano gli alleati a fare di più – continuano a tergiversare. Lo hanno fatto appena due mesi fa, quando la loro astensione nella Giunta per le immunità di Palazzo Madama è stata decisiva per “salvare” il leader leghista. Ma l’ultima parola ora spetta all’Aula. Ed è proprio lì che il fondatore di Italia Viva scioglierà le sue riserve, anche se la partita all’interno della compagine di governo si è giocata tutta in queste ore. In ballo ci sono le nomine per il rinnovo delle presidenze delle 28 commissioni permanenti di Camera e Senato. Poltrone ambitissime, dal momento che permettono di orientare i lavori parlamentari. E Italia Viva, come gli altri partiti di maggioranza, pretende una fetta della torta. Dare-avere, insomma, uno schema che in realtà si ripete: già a maggio i renziani hanno tenuto il governo sulle spine per tre giorni per la mozione di sfiducia al ministro Alfonso Bonafede, presentata dalle opposizioni e poi bocciata in aula. In quel caso il senatore di Rignano parlò di “garantismo”, proprio mentre il giorno prima la sua fedelissima Maria Elena Boschi incontrava il premier Conte per ottenere un altro tipo di “garanzie”.

Dalla Giunta all’aula del Senato, renziani ancora incerti – Le motivazioni ufficiali per cui Italia Viva ancora non ha sciolto le riserve sulla linea che terrà domani in Aula restano le stesse di due mesi fa, quando i tre componenti in quota renziana della Giunta decisero di astenersi. “I dubbi” sul caso Open Arms sono “ancora numerosi”, spiegò il capogruppo Francesco Bonifazi che rappresenta Iv in Giunta insieme a Giuseppe Cucca e Nadia Ginetti. “Sarebbe stato opportuno che tali incertezze venissero chiarite mediante un’attività istruttoria ulteriore. Dunque, allo stato dell’arte, Italia Viva, coerentemente con le posizioni tenute nelle precedenti votazioni, ed in mancanza degli elementi istruttori richiesti, decide di non partecipare al voto”. In quell’occasione, però, il partito fondato dall’ex premier si sbilanciò almeno su un punto. Cioè sull’eventuale colpa “collegiale” dell’allora governo M5s-Lega per aver trattenuto i migranti sulla nave. “Non sembrerebbe emergere l’esclusiva riferibilità all’ex ministro dell’Interno dei fatti contestati”, spiegò Bonifazi. Questione che ora potrebbe essere decisiva, anche se lo stesso Renzi ieri ha dichiarato che, a suo dire, non ci sono “problemi sulla maggioranza assoluta in Senato”. Un messaggio rivolto direttamente agli alleati di governo.

Il dossier migranti e lo scatto in avanti di Iv – Fra i renziani la parola d’ordine sul caso Open Arms resta quindi sempre la stessa: “Si chiama garantismo e noi siamo seri”, ha ribadito l’ex presidente del Consiglio alla vigilia del voto. Nessuno, fra i suoi deputati e senatori, si è sbilanciato nel merito della questione. Cioè degli oltre 160 migranti che l’allora capo del Viminale trattenne sulla nave prima che intervenisse la procura di Agrigento. Ma il tema migranti sta diventando politicamente fondamentale per Italia Viva. Proprio oggi l’ex ministra Maria Elena Boschi ha risposto all’ex compagno di governo Marco Minniti riguardo alle sue parole sul nesso immigrazione-coronavirus. “La narrazione di Minniti spesso segue il canovaccio di quella di Salvini: è accaduto anche nel 2017-2018”, ha attaccato dalle pagine del Corriere della Sera, allineandosi alle critiche che parte del centrosinistra ha mosso a Minniti nel corso degli ultimi anni. È nota poi la fuga in avanti del suo partito in materia di decreti Sicurezza, sulle cui modifiche la maggioranza non ha ancora trovato un accordo. Poche settimane fa il capogruppo di Iv al Senato, Davide Faraone, aveva chiesto alla ministra Lamorgese di avere “il nuovo testo sui dl sicurezza all’ordine del giorno del primo Cdm utile. Basta perdere tempo”. E aveva presentato un pacchetto di 15 proposte, tra cui lo Ius culturae e il ripristino della protezione umanitaria per i migranti. Nonostante questo, il voto politico dei renziani su Open Arms resta incerto.

La posta in gioco delle presidenze – Le trattative sottobanco fra Pd, Leu e Iv, infatti, nelle ultime ore sono state serratissime. Per le commissioni parlamentari “è stato un accordo complesso e difficile, lo abbiamo definito in mattinata, che ovviamente creerà anche qualche malcontento“, ha annunciato Andrea Marcucci all’assemblea dei senatori del Pd. Il punto è capire di chi è quel malcontento. Due mesi fa, quando Italia Viva aspettò la prova dell’Aula prima di annunciare il suo no alla mozione di sfiducia contro Bonafede, uno dei nodi sul tavolo era la nomina del fedelissimo di Renzi Luigi Marattin al vertice della Commissione Finanze a Montecitorio. Problema che si è trascinato fino all’ultimo e che ha visto contrari soprattutto i vertici del Movimento. L’accordo di massima prevedeva che ai pentastellati andassero sette presidenti di commissione alla Camera e sette al Senato, al Pd cinque alla Camera e quattro al Senato, a Italia viva due in ciascuno dei due rami del Parlamento, mentre a Leu una sola presidenza a Palazzo Madama. Ma già alle prime votazioni non sono mancati gli incidenti di percorso.

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