Piercamillo Davigo resta giudice nel processo davanti alla Sezione disciplinare del Csm a carico di Luca Palamara. Il tribunale delle toghe ha infatti respinto la richiesta di ricusazione presentata dalla difesa del pm romano sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, espulso dal Csm e sotto inchiesta per corruzione a Perugia. Palamara ha citato Davigo come testimone a suo discarico. Per questo aveva presentato l’istanza di ricusazione, ritenendo che non potesse ricoprire due ruoli nello stesso processo. La Sezione disciplinare ha bocciato anche un’altra istanza di Palamara: ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sua difesa con riferimento alla mancata previsione che sull’istanza di ricusazione decidano le sezioni unite della Cassazione.
Il difensore di Palamara Stefano Guizzi aveva sostenuto che Davigo dovesse essere sentito perché insieme al consigliere Sebastiano Ardita è a conoscenza delle vicende dell’esposto del pm romano Stefano Fava nei confronti di Giuseppe Pignatone relative alla sua mancata astensione nel procedimento penale a carico dell’avvocato Amara a causa dei rapporti del legale con il fratello dell’ex Procuratore di Roma Roberto Pignatone.
Nei giorni scorsi a Palazzo dei Marescialli è iniziato il “processo interno” davanti alla sezione disciplinare del Csm, che vede incolpati oltre a Palamara il parlamentare e magistrato in aspettativa, Cosimo Ferri, e gli altri cinque ex membri del Csm, finiti nella bufera dopo l’inchiesta di Perugia che ha fatto luce sul cosiddetto “sistema delle correnti” nella magistratura. La sezione disciplinare – presieduta dall’avvocato lodigiano Emanuele Basile – ha avuto giusto il tempo di incardinare i tre distinti procedimenti, poi tutto è stato rinviato al 15 settembre: da quella data comincia la serie di udienze che per ora sono fissate fino al 17 dicembre. Al centro ci saranno la riunione notturna del 9 maggio 2019 all’Hotel Champagne per parlare di nomine ai vertici degli uffici giudiziari, e, soprattutto, di quella a capo della procura di Roma, come emerso dalle conversazioni intercettate dal trojan inoculato nel cellulare di Palamara.