Esiste un rischio di inquinamento delle prove e durante gli interrogatori sono emerse versioni diverse dei fatti: per queste ragioni il gip di Piacenza, Luca Milani, ha respinto le richieste di scarcerazione dei carabinieri arrestati il 22 luglio, con misure di custodia cautelare, quando è stata anche sequestrata la caserma della stazione Levante. La decisione è arrivata all’esito degli interrogatori di garanzia, conclusi nei giorni scorsi. E, a partire da quanto emerso dagli stessi interrogatori, non è escluso che altre persone possano essere iscritte nel registro degli indagati.
Il giudice, sostanzialmente, pur ritenendo attenuato il rischio di reiterazione del reato, dal momento che i carabinieri sono sospesi, ha ravvisato per gli indagati il rischio di inquinamento probatorio, dal momento che l’inchiesta è ancora in corso.
In particolare, dagli interrogatori è emersa una versione dei fatti diversa da quanto accertato in precedenza e differenze sono emerse anche tra quanto riferito da chi ha deciso di rispondere, negando il proprio coinvolgimento e le dichiarazioni di Giuseppe Montella, l’appuntato considerato dai pm il vertice del “sistema criminale” al centro dell’inchiesta, con accuse di falsi arresti, spaccio di droga e tortura.
Intanto prosegue l’inchiesta Odysseus della Procura di Piacenza che la scorsa settimana ha portato al sequestro della caserma Levante. A far chiarezza sull’ipotesi di collegamento tra militari, pusher e ‘ndrine è la Dda di Milano, alla quale sono stati trasmessi per competenza gli atti che riguardano il capitolo sui rifornimenti di hascisc e marijuana nel Milanese. Dai primi accertamenti dei magistrati antimafia non risulta ci sia alcun contatto tra gli indagati piacentini e le ‘ndrine della Locride. E nemmeno il deposito di Gaggiano, centro alle porte di Milano dove avvenivano gli approvvigionamenti delle droghe leggere, secondo gli accertamenti svolti, risulta gestito dalla criminalità organizzata calabrese come invece ipotizzato in un primo momento.
L’indagine della Dda milanese è stata affidata al pm Stefano Ammendola dopo la trasmissione degli atti qualche settimana fa da parte della procuratrice di Piacenza Grazia Pradella, in base ad alcune intercettazioni e a una informativa della Gdf. L’ipotesi del legame con le ‘ndrine era scaturita da alcuni dialoghi intercettati tra i quali, ad esempio, la conversazione in cui l’appuntato dei carabinieri Giuseppe Montella, parlando con la compagna Maria Luisa Cattaneo, definisce “calabresi” e “pezzi grossi” gli interlocutori di Daniele Giardino, che – secondo l’accusa – era fornitore di stupefacente. Dalle carte emergeva altresì il timore di quest’ultimo per possibili ritorsioni da parte dei fornitori.