Ci sono voluti cinque incontri. Ma alla fine il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese e gli esponenti della maggioranza hanno trovato un’intesa sul nuovo testo per superare i Decreti sicurezza introdotti dall’allora titolare del Viminale Matteo Salvini. E lo fanno proprio nel giorno in cui il Senato vota sì all’autorizzazione a procedere per il leader della Lega per la vicenda Open Arms. Il testo sarà sottoposto all’attenzione delle autonomie locali, ma per l’approvazione in Consiglio dei ministri se ne riparlerà a settembre.
Sciolto, a quanto si apprende, il nodo delle multe milionarie alle navi ong, tema della discordia durante l’ultimo vertice del 30 giugno, che saranno cancellate. Secondo il testo del decreto, ad oggi, infatti, è prevista una sanzione da un minimo di 150mila euro a un massimo di un milione di euro per il comandante della nave “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”. Inoltre, come sanzione aggiuntiva, è stabilito anche il sequestro della nave. Possibile, per il comandante, anche l’arresto in flagranza nel caso in cui incorre nel “delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra, in base all’art. 1100 del codice della navigazione”.
Il nuovo testo avrà poi un allargamento della possibilità di accedere alla protezione umanitaria, di fatto negata dal primo decreto sicurezza che aboliva questa forma di aiuto, una delle tre possibili per i richiedenti asilo insieme all’asilo politico e alla protezione sussidiaria, sostituendola con una serie di “permessi speciali” della durata di un anno.
L’intesa punta poi alla revisione del sistema di accoglienza Siproimi e dà la possibilità per i richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe comunale. Proprio su questo ultimo punto recentemente si è pronunciata la Corte costituzionale dichiarando “irragionevole lo stop all’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo”. I motivi? “Non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza” e soprattutto provoca una “disparità di trattamento“, perché “rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”.