Calcio

Milan, vi spiego dove sta la forza dei rossoneri. Bastano quattro parole

Dopo l’ennesima fragorosa vittoria in trasferta del Milan post confinamento (la Sampdoria annichilita a Marassi con un ineccepibile 4 a 1) e soprattutto dopo l’imperiosa prestazione di Zlatan Ibrahimovic che a quasi trentanove anni corre come se ne avesse venti di meno, segna una doppietta, dispensa assist e tira a mitraglia, credo sia giusto abbozzare una sorta di dizionarietto filosofico del calcio rossonero, sulla falsariga di quello assai più celebre di Voltaire, 118 voci da “abate” a “virtù”, splendida opera letteraria (ma non solo) contro ogni forma di oscurantismo, contro il dogmatismo, la superstizione, l’autorità e soprattutto l’intolleranza. Per me è stato e resta un manuale di vita.

Ovviamente mi limiterò a quattro voci della lettera A, scelte tra quelle presenti nel Dizionario filosofico di Voltaire, adattandole ovviamente alle circostanze rossonere.

1) Abate

Ignazio, 33 anni, ex terzino destro del Milan con cui ha giocato 243 partite (2009-2019, svincolato. “Ma lo sapete che abate significa padre?”, è l’incipit di Voltaire. Un po’ ciò che fa oggi Ibra in campo. “Se lo diventerete davvero (il padre, nda), renderete servizio allo Stato”. In senso traslato, dunque al Milan… “Farete senza dubbio la miglior cosa che possa fare un uomo: diventare padre di esseri pensanti”. Ce ne siamo infatti accorti: persino un brutalone come Kessie, da stroncatore a regista. “C’è in questa azione qualcosa di divino”, aggiunge Voltaire. Basta vedere il Milan dispiegarsi in contropiede…

2) Anima

Tutti concordano che Stefano Pioli, l’allenatore appena riconfermato dopo lunghi patimenti, abbia trasmesso alla sua squadra qualcosa di più di qualche efficace schema tattico. C’è infatti una coinvolgente “anima” collettiva che spinge i giocatori a dare il meglio, a non arrendersi, a pensare positivo. E’ una voce cui dedica parecchie pagine lo (per la sua epoca) spregiudicato Voltaire: “Sarebbe una bella cosa vedere la propria anima”, è l’inizio, in cui cita il magnifico precetto “conosci te stesso”, ma chi altri può conoscere la propria essenza se non Dio? O chi ne fa le veci. Non si dice infatti che il “mister” di una squadra è il suo dio? San Tommaso, ricorda il filosofo francese, scriveva che l’anima è tutta in un tutto, “che la sua essenza differisce dalla sua potenza”.

3) Amicizia

Con l’arrivo di Ibrahimovic, idolo calcistico di tutti i giovani – una figura ben più carismatica del monotono Ronaldo – abbiamo visto qualcosa che prima, nelle file del Milan, era scomparso. Gli abbracci veri. Zlatan svetta, non solo per la sua altezza (sfiora i due metri, come l’altro gigante Donnarumma, che ha 18 anni meno di lui ma poco per volta sta assumendo autorevolezza e fiducia) come il Gran Padre – l’abate volterriano… – di una famiglia, che mostra e dimostra classe, forza, affetto.

Avrà mille difetti e sarà pure un poco sbruffone, ma quando conta esserci (col cuore, con le gambe, con l’esempio) lui è lì che allarga le sue lunghissime braccia e li stringe a sé. E’ anche maestro di ironia non spicciola, ciò che invece manca in modo assoluto al tetro Ronaldo di questi tempi: quando dice, sui social, “ragazzi, mi sto scaldando…”, o quando cesella la sua prestazione contro i blucerchiati della Sampdoria, “io sono come Benjamin Button, non invecchio mai”, e negli occhi tutti noi teletifosi e i suoi compagni l’hanno visto rincorrere un avversario per 40 metri sino a carpirgli il pallone e rilanciare il contropiede rossonero.

Significa dedizione e dare un messaggio ai compagni più giovani: soltanto con impegno e serietà costanti si raggiungono i successi che ci si prefigge. E’ il segreto della longevità di Ibra, e la generosità della sua amicizia verso i ragazzi dell’allegra brigata di Milanello. Lo dimostra Leao, che migliora partita dopo partita ed è sempre il primo a ringraziare Ibra: “Sono felice che mi abbia dato la sua amicizia”. Scrive Voltaire, infatti, che l’amicizia “è un tacito contratto fra due persone sensibili e virtuose”.

4) Apocalisse

Se consultate un glossario calcistico, non troverete la parola apocalisse. Troppo impegnativa. Ma quando l’Italia venne battuta e sbattuta fuori dai Mondiali nello spareggio a San Siro con la Svezia, fu la parola più abusata dalle tv per spiegare il catastrofico risultato degli azzurri. Inoltre, esiste una squadra che si chiama così, milita tra gli allievi del campionato under 17 Foggia girone B, attualmente è sesta.

Nel settembre del 2019 il sito di Repubblica titolò, a proposito dell’ennesima sconfitta col nuovo allenatore Giampaolo: Le strade sbagliate dell’apocalisse rossonera. Il testo era corrosivo: “Quello che succede al Milan è l’orrore più orribile che possa accadere a una squadra: il niente, essere niente…”. Denari buttati, progetti mai nati. Il malmenato Marco Giampaolo? “L’ultima delle scelte sbagliate”.

Le vetrate del rosone del Duomo di Milano illustrano le visioni dell’Apocalisse di san Giovanni, segno che nel cuore della città di cui il Milan è uno dei simboli sportivi più amati e gloriosi, l’apocalisse è evocata quale spaventevole destino ci toccherà, sempre se crediamo alle profezie millenariste. Giovanni Testori, milanese e milanista scrisse nel 1992, l’anno di Mani Pulite, un breve romanzo intitolato Gli angeli dello sterminio, nera metafora del futuro che incombeva, secondo lui, su Milano dove il Castello, il Duomo, San Vittore sono rovine fumanti, e gli abitanti cadaveri putrefatti.

Nemmeno dieci mesi fa il Milan suscitava pensieri apocalittici, e i calciatori venivano fischiati per la loro indolenza, per la loro confusione, per i loro velleitari atteggiamenti. Oggi, l’incubo è sparito. Il Milan è primo in classifica (ha realizzato 38 punti), tenuto conto solo delle partite giocate dopo la sosta pandemica ed è anche la squadra che ha segnato di più, 32 gol. In Europa, solamente il Manchester City ha fatto di meglio, 34 reti.

Il Milan è imbattuto da 11 partite di campionato (nell’aprile del 2014 arrivò a 14). Dulcis in fundo, ha segnato almeno due gol per ogni partita in trasferta, bisogna tornare indietro nel tempo di oltre mezzo secolo, addirittura al 1964, quando Rivera & C. lo fecero per nove partite. Il Diavolo rossonero ha annichilito l’apocalisse in cui era finito. Nemmeno Voltaire avrebbe potuto immaginarlo.