Quello del 25enne nigeriano, bracciante agricolo, è uno dei quattro presunti fermi illegittimi compiuti dagli uomini guidati da Peppe Montella. Un racconto, il suo, confermato dalle intercettazioni della Finanza: "Ho pensato 'mo questo lo abbiamo ammazzato'", dice l'appuntato
È arrivato in Italia cercando lavoro, fortuna, una vita migliore. Fino ad ora, Israel Anyanku, nato in Nigeria 25 anni fa, da noi ha trovato carabinieri infedeli che l’hanno picchiato a sangue e persone pronte a sfruttarlo. Attualmente è un bracciante invisibile che raccoglie pomodori in Puglia, a Foggia. E cosa gli è successo il 27 marzo a Piacenza, in pieno lockdown, quando è stato arrestato dai carabinieri della Levante non lo scorderà mai. Ne porta i segni sul corpo. “Da quel giorno, da quando mi hanno picchiato i carabinieri, non respiro più bene”, dice in un buon inglese al telefono.
Israel non è ancora stato ascoltato dagli inquirenti. E riferisce di come un carabiniere della Levante (non specifica quale) abbia cercato di arruolarlo nella “batteria” dei pusher che per conto di Montella e di Giardino spacciavano la droga sequestrata nelle operazioni di polizia. Ma nella storia dell’arresto di Israel, definito “illegittimo” dagli inquirenti, l’unica droga che salta fuori è quella che dà un informatore-pusher di Montella ai carabinieri: 2 grammi di marijuana. “Continuavano a dirmi ‘ti aiutiamo, ti aiutiamo noi’. E io dicevo ‘io non voglio il vostro aiuto, non ho fatto niente’. Mi hanno detto di vendere droga per loro, io dicevo che non volevo farlo, che non potevano costringermi a farlo, non voglio aiuto”, continua a raccontare Israel.
Riavvolgiamo il nastro. Il 26 marzo è Ghormy El Mehdi, uno dei pusher di Montella, a chiamare l’appuntato dicendogli che aveva acquistato 10 euro di erba da uno spacciatore. “Aveva setto, otto, nove ovuli”, dice a Montella. Da qui, insieme a Ghormy, l’appuntato organizza quello che il gip definisce “un tranello” ai danni di Israel. Un’operazione che interessa tutta la catena di comando: il maresciallo Marco Orlando, che partecipa al “briefing” con Ghormy e sa, dopo l’arresto, di una perquisizione domiciliare a casa dell’arrestato che non finirà mai negli atti. È sempre Orlando che al pm di turno e al maggiore Stefano Bezzeccheri dice invece che il nigeriano “è un senza fissa dimora” che “bivacca all’autostazione”. Orlando e Bezzeccheri condividono, dopo l’operazione, il modus operandi per il quale Ghormy, informatore di carabinieri, non sarà segnalato alla Prefettura come assuntore. Il gip parla di “disinteresse e superficialità” di Orlando, e di “esclusiva attenzione al numero degli arresti ai fini carrieristici” di Bezzeccheri. Nel mezzo, stritolato da questo meccanismo, c’è quel ragazzo seduto sul selciato con di fronte una chiazza del proprio sangue.
Montella, intercettato dagli inquirenti, organizza i turni degli altri militari per fare in modo che all’operazione partecipino Salvatore Cappellano, Giacomo Falanga e Daniele Spagnolo, attualmente in carcere per le accuse di spaccio, tortura, estorsione e peculato. Perché Montella volesse proprio la sua “squadra” al completo, gli inquirenti lo spiegano così: “Gli arresti venivano pianificati sia per permettere agli indagati di recuperare stupefacente da cedere a terzi, sia per togliere di mezzo eventuali concorrenti in determinate zone della città”. Qui gli va male. Ma le modalità dell’arresto e della successiva perquisizione fantasma sembrano confermare la tesi accusatoria.
Quello di Israel è uno dei quattro fermi illegittimi compiuti dai carabinieri della Levante ricostruiti attraverso le intercettazioni dell’inchiesta Odysseus, portata a termine dalle Fiamme Gialle e coordinata dalla procuratrice Grazia Pradella. “Ricordo tutto di quel giorno – dice Israel – Sono uscito senza mascherina per andare dal fruttivendolo sotto casa, in via Colombo, quando una persona mi ha chiamato battendo le mani. Pensavo fosse perché non avevo la mascherina, allora sono tornato indietro verso casa ma poi insieme ad altri due, tre, non ricordo, quella persona mi è corso dietro, ho corso anche io e mi hanno fatto cadere”. E qui iniziano le botte, tante che Montella, in un intercettazione, dice: “Ho pensato ‘mo questo lo abbiamo ammazzato!’”. Israel non ha riconosciuto i carabinieri in borghese. Ma ricorda i loro pugni. “They hit me! Hit me. Continuavano a colpirmi in faccia, sul naso, perdevo sangue e non mi reggevo in piedi. Continuavano a chiedermi cosa avevo in tasca, ‘niente!’”. È in quei frangenti che Montella scatta la foto poi recuperata dagli inquirenti di Israel a terra, manette ai polsi.
Arrivato in caserma, il giovane nigeriano dice di esser stato spinto. “Sono caduto ancora. Il sangue continuava a uscire dal naso”, circostanza questa confermata dalle intercettazioni in cui Montella, arrivato alla Levante con l’arrestato, chiede lo scottex per pulire il sangue che sgorgava. Non è stato chiamato alcun medico. E questa è solo la prima omissione dell’arresto, comunicato con una nota stampa come ennesima operazione antidroga della Levante, spaccio e “resistenza a pubblico ufficiale”. Né in quella nota né negli atti inviati alla Procura i carabinieri menzionano la perquisizione domiciliare che Montella, Falanga, Cappellano ed Esposito fanno in via Colombo, a casa di Israel.
“La casa ce l’hai? Beato te – dice a Israel Cappellano, intercettato – Ora diamo una controllata. Ma droga ne hai?”. “Marijuana ne hai?”, chiede anche Montella, famelico. Nulla. A casa del 25enne zero stupefacenti. In casa non c’è nessuno e i militari mettono tutto a soqquadro. “Sai qual è il cazzo, Peppe? – dice sempre Cappellano rivolgendosi a Montella – Che quello che abita in casa vede che… vede casino, in casa, gli sembra che gli hanno rubato in casa, viene e fa la denuncia”. Montella lo tranquillizza: “Queste so’ bestie, non fanno denuncia. Se viene da noi (alla caserma Levante) lo mandiamo via. Abbiamo lasciato tutto in ordine, soprattutto in camera da letto, non si capiva niente”.
Sulla quantità di botte date a Israel è un’intercettazione a fare luce. E i “vanti” di Montella nei confornti della compagna: “Amore l’abbiamo massacrato”, dice a fine turno a Maria Paola Cattaneo. Ancora Montella, in caserma, ascoltato dalla Finanza, dice: “Quando ho visto quel sangue a terra, ho detto: ‘Mo l’abbiamo ucciso'”. E una volta a casa parla di “un negro” che “è scappato” e che “è stato picchiato un po’ da tutti” al figlio minorenne.
“Non mi hanno permesso di vedere un dottore, ho chiesto di parlare con il mio avvocato e non mi hanno permesso di sentire il mio avvocato. Quando ho rifiutato di lavorare per loro mi hanno picchiato”.
Cosa diresti loro se li avessi di fronte, adesso, chiediamo a Israel. “Non ho niente contro di loro, loro non hanno niente contro di me e mi hanno picchiato. So che il mio Dio li giudicherà. Sono innocente e non mi possono fare quello che hanno fatto, il mio Dio li sta giudicando e sono stati beccati per questo”.