L’Italia contava ancora più 400 morti al giorno per coronavirus quando Matteo Salvini, il 21 aprile, chiedeva di riaprire il Paese il prima possibile, visto che “in Austria hanno aperto una sacco di negozi e attività commerciali, in Germania idem, in Spagna e in tanti altri Paesi europei”. Pena, a suo dire, il rischio di una “guerra commerciale all’Italia” da parte degli alleati. Pochi giorni dopo, il 28 aprile, sosteneva lo stesso anche Matteo Renzi: un presidente del Consiglio deve guardare “il numero dei posti di lavoro, l’andamento del pil, le previsioni internazionali“. Francia, Germania, Spagna “stanno ripartendo più velocemente di noi” e “ci strappano fette di mercato“. Non si può “tenere il Paese agli arresti domiciliari“. Un coro bipartisan contro la crisi dovuta al Covid ripetuto per settimane da una fetta del centrodestra, dall’ex premier di Rignano e a un certo punto pure dal segretario dem Nicola Zingaretti, secondo cui la riapertura dei negozi prevista inizialmente per il primo giugno era “molto lontana”. Eppure, quegli indici del Pil citati da Renzi, oggi dicono in parte il contrario. Nel secondo trimestre 2020, cioè nel periodo che va dalla fine del lockdown all’inizio della fase 3, l’Italia ha segnato un calo del 12,4%. Com’è andata altrove? Quei Paesi che per Salvini e co. dovevano essere presi a modello hanno fatto peggio di noi. Nello stesso periodo in Francia il crollo è stato del 13,8%, mentre in Spagna addirittura del 18,5%. Solo la Germania ha fatto meglio, portando a casa un -10,1%.
I paragoni del centrodestra con gli altri Paesi Ue – Nel corso dei lunghi mesi di lockdown i leader politici hanno più volte cambiato posizione sulle misure adottate dall’esecutivo. Il segretario del Carroccio a inizio marzo predicava di “chiudere tutta l’Italia” prima che “sia troppo tardi”, salvo poi correggere il tiro a distanza di poche settimane. “A Mattarella ho detto che prima si torna a lavorare, in sicurezza, con le mascherine, meglio è. In Germania lavorano, in Turchia lavorano e le nostre aziende rischiano di perdere il treno”, dice l’11 aprile al Tg4. “Veneto e Lombardia sono state le prime a chiudere e a imporre restrizioni. Qua il tessuto produttivo sta soffrendo più che altrove”, insiste tre giorni dopo a Telelombardia, sostenendo che “qualcuno sta approfittando del virus per fare concorrenza sleale alle nostre imprese”.
Una linea a cui si accodano pure i governatori di centrodestra. “Abbiamo due possibilità: tenere chiuso tutto e morire in attesa che il virus se ne vada oppure ripartire. Tutti alla fine hanno deciso di convivere col virus e riaprire, perchè oltre un certo limite la chiusura non è sostenibile”, dichiara il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, mentre il suo virologo di fiducia Andrea Crisanti si affanna a fare il più alto numero di tamponi possibile. “Molti altri Paesi europei sono già ripartiti, è necessario ragionare subito del nostro futuro“, gli fa eco Attilio Fontana, sebbene solo la Lombardia quel giorno segni +941 contagi e 231 morti in più. Poi si arriva a fine aprile, quando il premier Conte tiene una conferenza stampa per spiegare ai cittadini le tappe della fase 2, incentrata sulla prudenza e sulle indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Le opposizioni si sollevano contro il governo e accusano Palazzo Chigi di “massacrare interi settori”. Salvini parla di “dramma economico difficilmente recuperabile”, mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sentenzia: “Un’altra lunga e confusa conferenza stampa di Conte per dirci che, in sostanza, la fase due è quasi identica alla fase uno”.
Da Zingaretti a Renzi, polemiche anche in maggioranza – In quell’occasione non sono mancati malumori nemmeno tra le forze di maggioranza. “Qualsiasi scelta sui tempi di riapertura deve essere orientata a limitare al massimo la recrudescenza di una diffusione che probabilmente ci sarà, ma che va tenuta sotto controllo, con il costante supporto della scienza”, spiega al Corriere della Sera il segretario dem Zingaretti. Che prova a inseguire gli avversari sul terreno della lotta alla crisi mandando un messaggio a Palazzo Chigi: “Mi permetto di suggerire al governo di affidarsi alle curve epidemiche per riavviare le attività di alcune categorie, come ristoranti, bar o, in generale, il commercio. Verificando anche la data del primo giugno che mi pare molto lontana“. Molto più duro il fondatore di Italia Viva, secondo cui è “allucinante” la riapertura dei negozi in Germania “mentre noi siamo in queste condizioni e abbiamo il problema che in Italia non si riapre”.
Parole che in realtà non suonano nuove nelle dichiarazioni pubbliche rese dagli esponenti del suo partito già da fine marzo, ancora prima rispetto al cambio di linea deciso da Salvini. “Perché i gruppi italiani possono produrre acciaio in Germania, o matite in Francia, e non in Italia?”, si chiede il deputato di Iv Massimo Ungaro, puntando il dito contro la “prateria alla concorrenza degli altri che hanno già riaperto”. Per questo, aggiunge, “è fondamentale riaprire le fabbriche” gradualmente “già adesso”. Altrimenti, “la crisi economica rischia di creare anch’essa vittime come quella sanitaria”. Questioni di priorità, insomma. “Dicono tutti che sì, bisogna riaprire. E decidere come farlo. Solo che gli altri, che si sono organizzati per tempo, sono già partiti”, chiosa l’ex premier nella sua Enews del 14 aprile, prendendo a esempio i casi di Spagna e Francia. Proprio i Paesi che, nel secondo trimestre 2020, hanno subito il contraccolpo più duro in termini di Prodotto interno lordo.