Stanza di un albergo, di quelli di lusso coi merletti e il parquet. Pieno centro di Madrid: churros su vassoi d’argento, caffè fumanti (una ciofeca, ma tant’è), parole dolci, promesse sussurrate e il terrore che qualcuno rompa l’idillio bussando alla porta. Se accade, il piano è semplice: via, nascondersi in bagno. Amanti clandestini? Potrebbero sembrar tali e in un certo senso lo sono: c’è qualcuno da lasciare, ignaro che di lì a poco sarà lasciato, e qualcun altro da abbracciare. Ma non sono mogli, mariti e amanti: sono il Real Madrid, Rafael Martin Vasquez e il Torino. Coi blancos nel ruolo della moglie da lasciare e il Toro in quello del nuovo amore da sposare e in mezzo una trattativa clandestina portata avanti dall’allora presidente granata Borsano e dal ds Casasco negli hotel di Madrid, nell’inverno del 1989.

Sì perché era quasi impensabile che il Toro riuscisse a strappare un calciatore al Real, una squadra che nei sei anni precedenti aveva vinto cinque volte la Liga (allora Primera Division), due la Coppa Uefa, due la Supercoppa di Spagna, una la Coppa del Re. E che calciatore poi: uno della “quinta del Buitre”, “la corte dell’avvoltoio” inteso come Emilio Butragueno, simbolo del Real, della Spagna calcistica e di una generazione eccezionale che viene dal vivaio “blancos”, composta oltre che dal “Buitre” da Michel, Sanchis, Chendo e appunto Martin Vasquez. No, non gli si può proporre di andar via alla luce del sole castigliano: ci sarebbe una fuga di notizie e le tante squadre interessate a quel centrocampista dai piedi delicati e dall’intelligenza notevole scatenerebbero un’asta, e probabilmente lo stesso Real interverrebbe per far desistere Martin e il Toro dovrebbe solo farsi da parte.

Quegli incontri segreti vanno a buon fine: al netto dei camerieri che bussano alla porta e delle fughe in bagno il calciatore accetta la corte granata. Il Torino è società ambiziosa, la A in quegli anni “La Mecca” del calcio, ma in questo caso pesano le incomprensioni con Beenhakker, che non lo aveva fatto sentire valorizzato. Martin cede e mette il presidente Mendoza di fronte al fatto compiuto: “Vado via, ma tranquillo: non firmo per nessuna squadra spagnola, vado al Torino”. Per il Real 2,6 miliardi di lire, per Martin 8 miliardi in quattro anni. Quel Toro appena approdato in A con Mondonico alla guida fa sognare, e Martin Vasquez è un “ninnolo” che piace tanto, giustamente, a una tifoseria da sempre affamata di calcio e particolarmente sensibile a quello di pregevole fattura: lo spagnolo lo sa e li accontenta già dal precampionato, con tocchi d’alta classe che fanno innamorare i tifosi. Nella memoria granata infatti un gol alla Fiorentina al trofeo Baretti.

Si inserisce bene nei meccanismi di quel Toro terribile che vince la Mitropa e da neopromossa arriva quinta in campionato, qualificandosi in Coppa Uefa. E gioca ancora meglio nella stagione successiva, quando si fa beffe della Juventus in un derby davanti a Kissinger e porta per mano i granata in Coppa Uefa con giocate bellissime fino alla finale, sfortunata, contro l’Ajax: in semifinale il Toro aveva eliminato proprio il Real del Buitre e della “Quinta”. Ma se quella squadra in campo è vitale, energica, frizzante la situazione delle finanze granata non è altrettanto rosea, e a farne le spese è proprio lo spagnolo, che viene ceduto al Marsiglia per qualche miliardo: in Francia giocherà solo poche partite per poi tornare al Real e ritrovare la sua “Quinta”, a patto di seguirla poi fino in Messico, quando con “El Buitre” e Michel si trasferisce al Celaya, prima di terminare la carriera. Restano giocate memorabili e il ricordo di una trattativa un po’ “romance” ma funzionale a portare al Toro uno dei migliori giocatori del Real Madrid.

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