di Diego Battistessa*
Duecentododici persone sono state uccise nel solo 2019 per aver cercato di difendere la natura. Lo dice Global Witness, Ong nata nel 1993, che con il suo report (reso pubblico il 29 di luglio) spiega come la lotta contro l’espoliazione di risorse vitali come l’acqua e l’opposizione alla distruzione sistematica di ecosistemi millenari è costata la vita di questi uomini e donne che hanno difeso la nostra casa comune.
In un contesto legato fortemente al cambiamento climatico, ancora una volta l’America Latina detiene un record tutt’altro che lusinghiero: infatti solo nella regione latinoamericana sono avvenuti due terzi degli omicidi contro i difensori ambientali. Proprio la Colombia, tornata recentemente alle cronache italiane per la morte dell’italiano Mario Paciolla (le cui cause non sono ancora state chiarite) è il paese latinoamericano che guida la macabra classifica degli omicidi: ben 63.
A livello mondiale solo le Filippine di Duterte sono riuscite a tenere il passo: 43 omicidi. Se in tutto il mondo tanto i governi così come le imprese multinazionali cercano in ogni modo di silenziare la voce dei difensori dell’ambiente, in Colombia esistono anche molti altri fattori che entrano in gioco. Siamo di fronte ad uno dei paesi più violenti del Sudamerica, guidato dall’uribista Ivan Duque che in poco tempo è riuscito a dilapidare l’eredità del premio Nobel Manuel Santos, che siglò gli accordi di pace con le Farc-Ep nel 2016.
Il territorio è preda di numerosi conflitti che tessono una tela di corruzione, impunità, violazione costante dei diritti umani, violazione dei diritti collettivi dei popoli indigeni, sparizioni forzate e violenza generalizzata e multilivello che colpisce soprattutto le donne e gli indigeni.
I dissidenti della storica guerriglia colombiana hanno oggi ripreso la lotta; l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln) d’altro canto non ha mail sciolto le sue file, il narcotraffico, le cosiddette “Bacrim” (Bandas Emergentes y Bandas Criminales), gli atti criminali commessi dagli stessi membri dell’esercito e una legge di riparazione delle vittime del conflitto armato che non trova ancora oggi una reale applicazione.
Un paese, quello guidato da Duque, che ha raggiunto negli anni quasi 7 milioni di sfollati a causa della guerra civile (interni ed esterni), che oggi accoglie quasi 2 milioni di migranti venezuelani e dove la violenza e l’impunità continuano ad essere il flagello dei giusti. Se però la Colombia veste la maglia nera, non va certo meglio al resto dei paesi della regione. Nel report di Global Witness leggiamo che nelle prime 10 posizioni, solo tre paesi non appartengono all’America Latina.
Dopo Colombia e Filippine, troviamo infatti il Brasile con 24, il Messico con 18, l’Honduras con 14, il Guatemala con 12, il Venezuela con 8 e Nicaragua con 5. Global Witness spiega che dal 2012, anno in cui si è cominciato a stilare questo report per denunciare le uccisioni contro i difensori dell’ambiente, la regione latinoamericana ha sempre rappresentato il luogo più mortifero e più violento.
Il 33% degli omicidi si è consumato nel territorio amazzonico: nel solo Brasile il 90% delle persone uccise nel 2019 mentre difendevano l’ambiente vivevano nella regione amazzonica! L’Honduras di Berta Caceres, con una crescita vertiginosa di casi di omicidio contro i difensori dell’ambiente, da 4 nel 2018 a 14 nel 2019, diventa il paese più violento se consideriamo i dati relativi alla tassa di omicidi sulla popolazione totale.
Il business dell’industria mineraria, si legge nel report, è il settore che più morte ha portato tra i difensori dell’ambiente causando la metà dei casi di omicidio. La deforestazione, il land grabbing, la costruzione di centrali idroelettriche per cambiare il corso dei fiumi, l’espansione degli allevamenti per destinare sempre più carne al mercato alimentare mondiale e il fracking sono tutte facce della stessa moneta: la ricerca spasmodica di nuove risorse naturali da poter monetizzare.
Sull’orizzonte che abbiamo davanti in America Latina si stagliano le ombre di politici spregiudicati come Ivan Duque e Jair Bolsonaro (giusto per fare due esempi) che hanno dichiarato guerra a chi ha deciso di difendere la Pacha Mama (Madre Terra) da un capitalismo predatorio e senza scrupoli.
La pandemia causata dal Covid-19 ha creato una situazione ancora più grave nella regione, togliendo alle comunità vittime di pressioni e atti di violenza da governi e multinazionali una delle poche armi a loro disposizione: la copertura mediatica. Mentre tutto il mondo ha lo sguardo fisso sulla situazione sanitaria, sicari senza scrupoli uccidono donne e uomini i cui nomi difficilmente riempiranno le cronache dei quotidiani europei. A loro però dobbiamo molto più di quello che immaginiamo e non abbiamo più molto tempo per capirlo…
* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
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