L’allarme di questi giorni riguarda i tunisini. Accusati di arrivare sulle nostre spiagge in calzoncini, occhiali da sole e barboncino, rei di mettersi sui barchini rischiando la vita solo perché nel loro paese non c’è più lavoro e non riescono a sopravvivere.
Ovviamente, il nostro Paese ha tutto il diritto di fare le distinzioni del caso e valutare il tipo di urgenza di chi arriva, decidendo poi di conseguenza. Così come hanno diritto a chiedere aiuto i sindaci dei comuni coinvolti. Il punto non è tanto la Farnesina, ma il nostro dibattito pubblico, con le polemiche dei soliti sovranisti di turno e il conseguente allarme dell’opinione pubblica, in cui all’accusa di essere turisti in cerca di nuove mete si aggiunge quella di essere untori, portatori del virus nel nostro Paese. Ecco, questo dibattito si sta svolgendo in un clima, e non in senso metaforico, a dir poco allucinante, visto che un’ondata di caldo “africano”, così la chiamano i meteorologi, ha raggiunto il nostro Paese con un aumento delle temperature quasi insopportabile. Che non dà tregua da nessuna parte, neanche nelle zone montane o dove normalmente l’estate si può respirare.
Un ondata di calore così violento e anomalo dovrebbe far allarmare tutti. Dai politici ai giornali a chi partecipa normalmente al dibattito sui social network, ovviamente questi ultimi assai men colpevoli dei primi. Noi esseri umani non possiamo sopravvivere se la temperatura aumenta in maniera eccessiva. E queste ondate di calore rischiano di diventare la norma, e sono e saranno assai più violente per chi vive in città, come ha dimostrato l’ultimo rapporto di Legambiente. Che ha spiegato come le temperatura siano aumentate nelle città dal 1960 di numerosi gradi, addirittura quasi quattro a Roma e ben oltre 3 a Milano e Bari. E la tendenza è verso un aumento, visto che le emissioni di CO2 continuano a salire (non nel nostro paese o in Europa, ma globalmente e purtroppo per noi è uguale) e visto che se anche facessimo tagli imponenti le temperature continuerebbero comunque a salire per molto tempo.
Il cambiamento climatico è anche e soprattutto questo, l’aumento delle temperature. Un tema angosciante, scomodo, di cui probabilmente ha un timore enorme a parlare perché porta con sé interrogativi enormi circa la propria sopravvivenza. Ma se la rimozione individuale è comprensibile, quella dei singoli che si sentono impotenti e cercano di vivere al meglio, magari sorridendo, altra faccenda è il silenzio di quasi l’intera classe giornalistica e politica. Ascoltando radio e sentendo tg io rimango sempre più allibita. Ci sono sempre i soliti servizi meteo, uguali a cinquant’anni fa, dove le signorine di turno cinguettano su temperature e maltempo, come se le ondate di calore non fossero un problema talmente grande da non poter essere più contenute dentro la sezione meteo. Una temperatura alta e anomala, un caldo quasi umanamente insopportabile è una notizia, qualcosa su cui tutti dovrebbero interrogarsi, di cui tutti dovrebbero parlare. A partire, ripeto, dalla politica ma anche dall’intero mondo mediatico.
Quanti servizi ci sono sugli sbarchi? Quanti sull’immigrazione incontrollata? Per carità, sicuramente un allarme, ma perché ci preoccupa così tanto l’arrivo di migranti in un Paese sempre più spopolato come il nostro, dove non nascono più bambini, e invece non ci allarma lo stravolgimento del nostro clima temperato, ormai un ricordo, che potrebbe distruggere noi e i nostri pochi figli? Continuo a non capirlo, continuo a non spiegarmelo. Penso spesso a quei bambini e anziani rimasti in città ormai invivibili. È una cosa che mi fa soffrire enormemente. È come se avessimo privato i più deboli pure dell’unica cosa gratuita che restava, cioè l’aria e una temperatura sopportabile. E per questo la questione climatica è sempre più una questione di giustizia sociale, perché ancora chi è ricco può permettersi di andare in piscina, al mare o in montagna. Ma chi difende chi non può difendersi?
Il tema del cambiamento climatico, nonostante la sua gravità, nonostante i migliaia di report scientifici, nonostante i milioni di notizie continua a non arrivare sulla prima pagina politica e giornalistica, gettando tutti quelli che di clima si occupano e sul clima lavorano nella frustrazione. Perché? Come dicevo, c’è una differenza fondamentale tra le persone “normali” e chi ha ruoli di responsabilità. Ormai la questione del cambiamento climatico ha un posto centrale nelle ansie individuali. Tuttavia le persone non ne parlano, perché, come sempre, aspettano che chi le rappresenta collochi la questione nel giusto modo, ne spieghi la gravità e dica cosa occorre fare. Perché la politica e i giornali fanno la gerarchia dei valori, nel bene e nel male. Se la politica non ne parla, la gente in fondo che ancora le cose non siano così gravi, anche se così non è.
Quello di cui sono invece colpevoli i nostri politici e tutte le élite in genere è un antropocentrismo sfrenato, unito ad un’abissale ignoranza scientifica. Il cambiamento climatico è scomodo, rovescia i piani personali, i giochi di potere, dà fastidio. La classe politica e pure molti giornali non se ne preoccupano perché vedono solo se stessi, perché in fondo credono che le temperature non potranno aumentare più di quanto noi le possiamo sopportare. E perché lo pensano? Perché usano l’uomo, cioè sé stessi come parametro. Ignorando che se l’uomo non è indispensabile sulla Terra e la Terra, appunto, “ragiona” a prescindere da noi, figuriamoci a prescindere dal singolo politico, che invece, ed è un pensiero assolutamente delirante, crede che la Terra debba andare avanti per lui.
Invece avremmo bisogno disperatamente di politici che ne parlassero che dessero voce alle nostre paure più grandi, che spiegassero cosa fare, tutti insieme. Avremmo bisogno di rompere finalmente questo tabù angoscioso e cominciare. Perché le temperature continueranno ad aumentare. E di questo dovremmo occuparci quasi esclusivamente, invece di gridare contro gli sbarchi di alcuni disperati. Peraltro, in un futuro non lontanissimo, e visto che il Mediterraneo è un hotspot che si riscalda più di altre zone del mondo, potremmo essere noi costretti a spostarci. E magari ci sarà qualcuno che ci rimanderà indietro, irridendo le nostre scarpe firmate, il telefonino e gli animali che ovviamente vorremmo portare con noi.
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