Da un lato l’inchiesta milanese sui camici e sui conti svizzeri del governatore, dall’altro le conseguenze politiche che tutto questo rischia di provocare ai piani alti del Pirellone. Attilio Fontana ora è assediato su due fronti. Il lavoro dei pm sulla fornitura da mezzo milione di euro da parte del cognato Andrea Dini, poi trasformata in “donazione” e mai completata, va avanti spedito: dopo che i finanzieri hanno sequestrato i 25mila camici che mancavano all’appello e che lo stesso Dini avrebbe tentato di vendere a un prezzo maggiorato a una onlus varesina, l’attenzione degli investigatori è ricaduta proprio sulle tariffe inizialmente concordate con la Regione. Il contratto tra la Dama Spa e Aria (la Centrale acquisti) prevedeva la vendita di 75mila camici a 6 euro l’uno, oltre a 7mila tra calzari e cuffie e altri camici a 9 euro. Totale della commessa: 513mila euro. Ma, come riporta il Messaggero, sono poche le aziende che hanno stipulato con la Lombardia prezzi così alti. Da qui la decisione della procura di affidarsi a una perizia per valutare il reale valore del materiale. Poi c’è la questione dei 5,3 milioni di euro su conti svizzeri ereditati dal governatore e gestiti fino al 2015 da due trust alle Bahamas. L’Espresso rivela che il secondo è stato creato nel 2005 proprio pochi giorni prima che entrassero in vigore le nuove norme sulla tassazione dei depositi in Svizzera intestati a cittadini Ue. Tutto mentre in Regione, riferisce sempre il quotidiano romano, si starebbe facendo largo l’ipotesi di un “rimpasto” della giunta per commissariare Fontana. Anziché farlo dimettere – con il terremoto politico che ne conseguirebbe – nella Lega c’è chi pensa di promuovere l’attuale assessore al bilancio Davide Caparini a vicepresidente con pieni poteri.

Le novità sul fronte giudiziario – Per quanto riguarda il primo pezzo dell’inchiesta che vede indagati il presidente lombardo, il cognato, il dg di Aria Filippo Bongiovanni e una funzionaria, l’attenzione dei pm è concentrata sulla partita di camici rinvenuta nei depositi dell’azienda di Dini. Perché sono così importanti? Perché quando Fontana viene a sapere “il 12 maggio” dei “rapporti negoziali” tra il cognato e Aria – come ha raccontato lui stesso in Consiglio regionale – “chiede” personalmente a Dini di “rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni”. Il 20 maggio l’imprenditore scrive quindi alla Regione per trasformare tutto in “donazione”. Da quel momento la fornitura si interrompe e sui 75mila camici inizialmente previsti, ne vengono consegnati 49mila. Il problema è che quel contratto non è mai stato modificato, motivo per cui l’azienda sarebbe stata obbligata a mandare alla Lombardia anche la partita mancante.

Stando alle chat trapelate nei giorni scorsi, Dini sempre il 20 maggio avrebbe tentato pure di rivendere questi camici a una onlus di Varese a 9 euro l’uno. Prezzo ancora più alto rispetto ai 6 euro concordati con la Regione di cui ora i pm dubitano. Il Messaggero riferisce che fra i tanti acquisti di materiale medico fatti dalla Lombardia nel corso dell’emergenza Covid ci sono oltre 40mila “camici impermeabili” acquistati su Amazon a 1,99 euro l’uno, 8mila a 15 euro presso la Raelcon srl, più ordini da 2,4 euro per “camici chirurgici” alla Medical Device, 3-4 a camice per quelli arrivati da Shanghai fino a quello modello “visitatore” costati solo 27 centesimi. Ci si chiede quindi perché il tariffario di Dama prevedesse camici a 6 euro e di che tipo di materiale si trattasse.

Il nodo dei conti svizzeri e la rivelazione dell’Espresso Il secondo pezzo dell’inchiesta riguarda invece i conti svizzeri di Fontana emersi per caso durante le indagini per l’affare camici. i pm ne sono venuti a conoscenza dopo che nel maggio scorso il governatore ha tentato di erogare, proprio tramite i suoi fondi a Lugano, un bonifico da 250mila euro in favore del cognato per risarcirlo dopo avergli “chiesto” di bloccare l’affare che aveva stipulato con la Regione. La transazione alla fine salta a causa di un alert all’antiriciclaggio, ma la procura ne viene informata d’ufficio. Quello che viene fuori è che sono stati aperti dai genitori, controllati da due trust alle Bahamas fino al 2015 e “scudati” dallo stesso Fontana subito dopo averli ereditati. Lui sostiene che non fossero “operativi da metà anni Ottanta”, ma secondo la newsletter del quotidiano Domani tra il 2009 e il 2015 risultano movimenti per 600mila euro. E ora l’Espresso aggiunge un nuovo tassello: il primo luglio del 2005 entra in vigore un accordo tra la Svizzera e la Ue. Per la prima volta i conti dei cittadini dell’Unione aperti nelle banche elvetiche subiscono un’imposta del 15 per cento sui rendimenti delle obbligazioni intestate a persone fisiche. Il Montmellon Valley trust a cui l’allora ottantenne madre di Fontana affida il suo patrimonio (che rimane a Lugano, ma batte bandiera caraibica) viene aperto il primo giugno 2005, cioè un mese prima il varo della legge. Tutto finisce nel 2015, quando il governatore eredita i 5,3 milioni e li dichiara al Fisco italiano grazie alla voluntary disclosure.

Sul fronte politico si cerca una via d’uscita – In attesa che la magistratura chiarisca l’intera vicenda, al Pirellone trapela sempre più forte l’imbarazzo dei leghisti nei confronti di Fontana, ritenuto da sempre vicinissimo al leader Salvini. Secondo il Messaggero, l’ipotesi dimissioni attualmente è quella più impraticabile perché sarebbe un colpo eccessivo all’immagine del modello lombardo del Carroccio. Da qui l’idea di un rimpasto che dia nuova linfa alla squadra del Pirellone e, soprattutto, dia più poteri all’eventuale nuovo vice di Fontana, l’assessore Caparini. A farne le spese sarebbe pure l’attuale assessore al Welfare Giulio Gallera, più volte sotto attacco per la gestione dell’emergenza. “La carta Caparini va vestita bene. Con alcuni cambi ad hoc capaci di rafforzare il quadro”, dice un big leghista. Ma la decisione finale spetta a via Bellerio.

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