Società

Spesso consideriamo povero chi non lo è. Ed è colpa della ‘economia delle cianfrusaglie’

di Jon Duro

Ci sono angoli del mondo che hanno la reputazione di essere estremamente poveri e dove la popolazione non ha mezzi per soddisfare i bisogni essenziali della vita, come la fame e la sete; si dice che lì si vive in condizioni di arretratezza e andare in quei luoghi sarebbe come fare un salto indietro nel tempo di 30, oppure 50 se non di 100 anni. Eppure mi sono sempre chiesto se queste popolazioni hanno sempre vissuto così.

In verità affermando ciò si commette un banale errore di superbia che parte dal fatto che impieghiamo troppe risorse per comprendere come si crea la ricchezza e mai, invece, di come si crea la povertà. Anche in questo caso vale la legge della conservazione della massa per cui nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma: quindi, se da un lato creeremo ricchezza, dall’altro creeremo una povertà di egual misura che influirà sulle persone in maniera diretta, sui loro averi, o indiretta, tramite impoverimento e inquinamento dell’habitat. Questa discrepanza è causata dall’incontro di due economie di natura completamente diversa.

Da un lato abbiamo l’economia di questi luoghi che ha alla base la materia prima e l’ambiente circostante, sia esso mare o terra, fatto di flora e di fauna. Da qui i locali ricavano l’essenziale per nutrirsi e per costruire ciò che serve.

Dall’altro abbiamo la nostra economia fatta di ricchezze fittizie (che chiamiamo finanza) e di cianfrusaglie, perché la maggior parte dei nostri oggetti finirà nell’immondizia poco tempo dopo l’acquisto. Eppure l’economia delle cianfrusaglie è quella che noi valutiamo essere la più forte, la più avanzata, quella che ci permette di non patire la fame, la sete e le malattie, dandoci l’illusione di vivere in “ricchezza” (anche se mai abbastanza).

Mi spiego meglio. Quando per un motivo o per l’altro noi viaggiamo in un luogo “estremamente povero” ci portiamo dietro i vizi e le virtù caratteristici dello standard del mondo occidentale e difficilmente ci adattiamo completamente ai luoghi che visitiamo. Da ciò qualcuno tra i locali ne trarrà vantaggio, offrendo servizi nel tentativo di accentrare a sé un po’ più di ricchezza rispetto ai suoi pari. Quindi al mercato acquisterà più beni di quanto gli servono perché vorrà soddisfare più persone che arrivano con esigenze diverse e decisamente maggiori, creando uno squilibrio.

I prezzi dei beni primari aumenteranno e la loro disponibilità per il resto della popolazione sarà più ridotta. Le esigenze dei visitatori sfiniranno, così, le risorse naturali che per secoli erano destinate a soddisfare i fabbisogni locali. Inoltre gli autoctoni tenderanno ad abbandonare un lavoro nella pesca o nell’agricoltura preferendo un impiego nel settore turistico, spesso pregando i proprietari d’albergo di collocarli in qualsiasi parte. Il turismo, infatti, aiuta le economie di paesi che sono già ricchi, ma in quelli in via di sviluppo non fa altro che accentrare ricchezza creando povertà e indebolendo le culture.

Un esempio più estremo riguarda molte associazioni umanitarie che inviano gente ad “aiutare” i locali, senza che però sia stato richiesto alcun aiuto. Non sono altro che “turisti umanitari” che esportano la propria economia e cultura delle cianfrusaglie e generano nuovi bisogni ed ambizioni che prima in quei luoghi non c’erano.

La povertà, quindi, è un concetto astratto che noi, in base alla nostra cultura, creiamo come confronto alla nostra situazione economica. Spesso consideriamo povero un gruppo di persone che di fatto non lo è e non lo sarà finché noi non imporremo loro i valori dell’economia delle cianfrusaglie. Dovremmo, quindi, un po’ tutti imporci di valorizzare le culture locali promuovendo un turismo ecologico e una economia sostenibile che non accentri ricchezza, ma che la condivida nelle comunità che ci ospitano.

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