Vittorio Vaccaro, invece, di anni ne aveva ventiquattro. Operaio ceramista d’origine siciliana, viveva a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, e si era sposato con Adele, ventidue, da cui aveva avuto una bambina, Linda, quattro anni. Quel giorno aveva accompagnato la madre, Eleonora Geraci, quarantasei anni, a Bologna perché dalla Sicilia stava arrivando una zia. A cercare Vittorio ed Eleonora andò il suocero dell’operaio, Celso. Li trovò all’obitorio. Dovevano andare a Mestre dopo essere partiti da Brusciano. Salvatore Lauro, cinquantasette anni, e sua moglie Velia Carli, cinquanta, non avrebbero nemmeno dovuto essere alla stazione di Bologna. Per il loro viaggio, all’inizio, avevano pensato di prendere l’auto, ma la stanchezza e il traffico vacanziero li avevano convinti che il treno sarebbe stato meglio. «Se capita una disgrazia, ricordatevi che sono cose da affrontare e da accettare, non da mettere da parte», disse Velia a una dei sette figli, Patrizia, prima di partire. Una sorta di presentimento che riguardava in particolare i due più piccoli, Gennaro e Francesca. Un’altra figlia, Aurora, aveva fissato le sue nozze pochi giorni dopo la strage e, se fosse accaduto qualcosa ai genitori, avrebbe dovuto prenderli con lei, crescendoli insieme.
L’ennesima famiglia presente alla stazione era quella di Angelo Priore, un ottico di ventisei anni che viveva a Messina. Originario di Pelos, frazione di Vigo di Cadore, nel Bellunese, il giovane stava raggiungendo la moglie Elvira e la loro bambina di quattordici mesi che da un paio di settimane erano in montagna, a casa dei genitori di Angelo. In viaggio con i suoceri, quando la bomba esplose era nella sala d’aspetto di seconda classe e l’esplosione gli portò via un occhio. All’ospedale Bellaria lo sottoposero a tre interventi chirurgici al cervello e le sue condizioni apparvero disperate. Sopravvisse fino all’11 novembre 1980.
Poco più giovani erano Viviana Bugamelli e Paolo Zecchi. Entrambi ragionieri, lei aveva ventitré anni e lui stava per compierli. Si erano sposati nell’ottobre 1979 e avevano appena scoperto che presto sarebbero diventati genitori. Così, nonostante la necessità di risparmiare, avevano deciso di concedersi una vacanza in Sardegna. Li attendevano un treno e un traghetto che non presero mai. Stavano invece per sposarsi Carla Gozzi, trentasei anni, e Umberto Lugli, trentotto. Erano fidanzati dai tempi della scuola, frequentata a Carpi, e trascorrevano l’anno a lavorare, lui nella merceria aperta con il fratello e Carla in un maglificio del Modenese. Per le vacanze, nel 1980, avevano scelto le Tremiti e il 2 agosto arrivarono a Bologna di buon’ora con l’auto del fratello di Umberto, che li salutò contento e poi tornò indietro per aprire il negozio. La più giovane delle vittime della strage di Bologna aveva tre anni. Si chiamava Angela Fresu e alla stazione era arrivata con la madre Maria, ventiquattro, e un’amica ventunenne, Verdiana Bivona, di Castelfiorentino.
Venivano da Gricciano di Montespertoli, in provincia di Firenze, e con una terza amica, Silvana Ancillotti, l’unica a salvarsi, erano dirette al lago di Garda. Per l’occasione, Angela indossava un vestitino nuovo, comprato in vista del viaggio. Arrivavano dalla Gran Bretagna Catherine Helen Mitchell e John Andrew Kolpinski. Stavano insieme, avevano ventidue anni e si erano appena laureati all’Università di Birmingham in discipline artistiche. Quell’estate si erano concessi, sacco a pelo in spalla, un viaggio per l’Europa e in loro memoria è rimasto un albero donato dalla Kinving Geographical Society all’ateneo che avevano frequentato fino a pochi mesi prima. Dal Giappone invece veniva Iwao Sekiguchi, vent’anni. Partito da Tokyo, aveva trascorso una settimana a Roma e qualche altro giorno a Firenze. Dopo l’esplosione, venne trovato il suo diario: «2 agosto: sono alla stazione di Bologna. Telefono a Teresa, ma non c’è. Decido quindi di andare a Venezia. Prendo il treno che parte alle 11:11. Ho acquistato un cestino da viaggio che ho pagato cinquemila lire. Dentro ci sono carne, uova, patate, pane e vino. Mentre scrivo sto mangiando». Iwao aveva desiderato a lungo quel viaggio, pagato dopo anni di ripetizioni e una borsa di studio del centro di cultura italiana di Tokyo.
Brigitte Drouhard, ventun anni, era di Seules, in Francia. Amava la poesia e la letteratura italiana e quel giorno era diretta a Ravenna. Sua madre, Melene Colard Drouhard, per anni ha cercato di mettersi in contatto con chi l’aveva incontrata quella mattina. Scriveva il 17 novembre 1981: «Signore e signori, vi chiedo se potete darmi il nome e l’indirizzo degli altri francesi o persone residenti in Francia, che si trovavano alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 e che sono stati feriti […]. Può darsi che [Brigitte] abbia parlato a viaggiatori che mi potrebbero dare delle informazioni sugli ultimi istanti di vita di mia figlia».