A due settimane dalla morte di Mario Carmine Paciolla, qualcosa inizia a muoversi in Colombia. Alcuni poliziotti sono finiti sotto inchiesta della procura locale perché avrebbero ostacolato le indagini sul cooperante italiano trovato morto il 15 luglio nel suo appartamento. Un primo segnale, in attesa che arrivino i risultati dell’autopsia, forse nei prossimi giorni, per chiarire i contorni della sua morte. Paciolla, 33 anni, napoletano, collaborava con le Nazione Unite in Colombia per un progetto di pacificazione interna tra governo locale ed ex ribelli delle Farc e di riqualificazione di aree utilizzate dal narcotraffico.

Trovato morto nel suo appartamento a San Vicente del Caguan in circostanze poco chiare, la polizia ha ipotizzato un suicidio, pista giudicata poco credibile in Italia. Le prime indagini condotte nell’appartamento potrebbero essere state condotte in modo inappropriato e la procura generale colombiana indagato gli agenti della polizia criminale (Sijin). L’ipotesi di reato è “ostruzione alla giustizia” perché i poliziotti, all’indomani del ritrovamento del corpo, permisero ad un’unità dell’Onu di prelevare tutti gli effetti personali e alterare il luogo centrale delle indagini per risalire alle cause del decesso. In questo modo, denuncia la giornalista Claudia Julieta Duque, amica di Paciolla, l’appartamento del cooperante italiano non è stato protetto. Dall’abitazione, inoltre, risulta che furono prelevati oltre otto milioni di pesos (1.820 euro), carte di credito, passaporti, una macchina fotografica, materiale informatico, varie agende, ricevute e numerose fotografie.

La giornalista, che scrive per El Espectador, segnala poi che all’autopsia del cadavere di Paciolla partecipò anche il capo della missione medica locale dell’Onu, nonostante non fosse un anatomopatologo. Il capo della missione di verifica delle Nazioni Unite si è rifiutato di rispondere a diverse domande riguardanti le azioni svolte dal personale alle sue dipendenze. C’è in particolare mistero sull’ultima telefonata che Paciolla fece la notte del 14 luglio, poche ore prima di morire, con il responsabile della sicurezza dell’Onu a San Vicente. Che adesso la procura vuole sentire.

Sul comportamento adottato dai funzionari dell’Onu in Colombia anche l’Italia si aspetta delle risposte chiare. Lo ha ribadito il ministro Di Maio, spiegando che chiederà alle Nazioni Unite “massima trasparenza non solo nelle informazioni, ma anche nell’indagine aperta internamente”. Anche valutando l’ipotesi dell’invio di “personale dedicato in Colombia per un’indagine-ispezione”, ha aggiunto il ministro, che nel corso di una telefonata con la collega di Bogotà, ha ribadito “l’estrema importanza di questa vicenda” per l’Italia. In attesa dell’esito dell’autopsia “per avere un quadro più chiaro e agire di conseguenza”.

I risultati dell’autopsia potrebbero arrivare in settimana, ha riferito il legale della famiglia, aggiungendo tuttavia che le cause delle morti violente in Colombia vengono solitamente scoperte dopo molto tempo, dato che le autorità giudiziarie devono valutare a fondo tutte le ipotesi e stabilire con certezza l’accaduto che in Italia ha evocato il caso Regeni. 30 parlamentari hanno chiesto a Di Maio di respingere verità di comodo.

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