Nel giorno della bomba alla stazione ferroviaria di Bologna, il pugile napoletano sul ring si gioca la finale olimpica contro il sovietico Serik Konakbayev. Gli aneddoti di quell'avventura vengono raccontati nello spettacolo teatrale “Patrizio vs Oliva”. Il campione 40 anni dopo racconta a ilfattoquotidiano.it: "Mi dissero della strage appena dopo la finale"
La XXII edizione dei Giochi Olimpici si sarebbe conclusa il giorno successivo con la cerimonia allo Stadio Lenin di Mosca. L’incontro di Patrizio Oliva è previsto nel pomeriggio: il pugile napoletano si gioca la medaglia d’oro dei superleggeri. È il 2 agosto 1980 e l’Italia quel sabato si è svegliata sconvolta, in mattinata è scoppiata una bomba alla stazione ferroviaria di Bologna, un attacco dinamitardo devastante che ha causato 85 morti e 200 feriti, lasciando una ferita nel nostro Paese, mai più rimarginata neanche a quarant’anni di distanza. A Mosca la notizia ovviamente arriva, ma i mezzi di comunicazione non sono quelli di oggi. Lo staff che ruota attorno a Oliva in Unione Sovietica viene a conoscenza del fatto tragico. Con il pugile però preferiscono non entrare nei dettagli di quanto è successo. “Non lo sapevo – dice Oliva a ilfattoquotidiano.it – mi dissero della strage di Bologna appena dopo la finale. Con la mia vittoria spero di aver regalato agli italiani un briciolo di felicità in una giornata tanto brutta”.
E pensare che Oliva, premiato anche con il titolo di miglior pugile olimpico, riconoscimento che per l’Italia aveva preso in precedenza solo Nino Benvenuti nel 1960, rischiò di non combattere nemmeno. L’episodio della sauna è raccontato anche in “Patrizio vs Oliva”, spettacolo teatrale che racconta la storia del pugile e che vede Oliva come attore principale nella parte di se stesso. “Dovevamo fare un prepeso prima di quello ufficiale – spiega Oliva – ma un dirigente italiano non volle ascoltarmi. Tu fai il pugile… al resto ci penso io, non ci sono prepesi qui. Allora feci colazione regolarmente, andando ad allenarmi dopo aver mangiato. Ad un tratto arrivò di corsa il nostro allenatore: c’è il peso, c’è il peso, urlava… Ma io dopo la colazione sarei stato sicuramente oltre di qualche chilo. Allora andai a fare la sauna vestito. Debilitato, arrivai al peso, ma lo trovammo chiuso”. L’Italia della boxe è eliminata. Era l’Olimpiade del boicottaggio. Gli Stati Uniti non si erano presentati. Perdere anche l’Italia non avrebbe fatto bene alla competizione. La commissione si riunì, dando la possibilità di fare il peso agli azzurri, che furono così riammessi.
Dopo quattro incontri vinti bene, Oliva arriva alla finalissima del 2 agosto. Deve affrontare il sovietico Serik Konakbayev, un kazako che allora combatteva in casa. L’anno prima Konakbayev gli aveva tolto l’oro europeo in un match assai contestato. A Poggioreale nella casa del ragazzo, il papà ha già messo in frigo lo spumante. Scaramanzia zero. A seguire alla tv l’incontro c’è tutta la famiglia, la fidanzata di allora e il Maestro Geppino Silvestri. Patrizio inizia alla grande, la prima ripresa è magnifica, ma il secondo round non è particolarmente brillante. Il padre inizia a preoccuparsi per tutte quelle bollicine tenute in fresca. Invece la terza ripresa di Patrizio è vivace, per un attimo mette da parte la tecnica per combattere soprattutto con il cuore. Arriva il risultato. 4-1 è il verdetto dei giudici. In tv Paolo Rosi lo annuncia agli italiani davanti al teleschermo. Oliva si inginocchia al centro del ring. È nata una nuova stella dello sport italiano, amato per un decennio abbondante da tanti appassionati, in uno dei giorni più difficili della storia del nostro Paese.