Stazione di Bologna, 2 agosto 1980, ore 10,25. È l’istante in cui si verifica la strage più sanguinosa della storia d’Italia: muoiono 85 persone e 227 restano ferite. L’intera palazzina, dell’ala sinistra del complesso ferroviario, è rasa al suolo. È impiegato un ordigno di una potenza distruttrice mai vista nei precedenti attentati, con una carica esplosiva tra i 20 e i 25 chili (il 12 dicembre 1969 in Piazza Fontana a Milano la carica è di circa un chilo e mezzo). L’esplosivo è un prodotto elaborato (nitroglicerina, nitriglicol, nitrato ammonico, solfato di bario, tritolo, T4) la cui composizione esclude una fabbricazione artigianale e va fatta risalire a operatori specializzati.
Un’altra alta carica esplosiva, inedita sino a quel momento negli attentati stragisti (15 chili per 99 candelotti di dinamite), era stata impiegata il 20 maggio 1979 a Roma per colpire la sede del Consiglio superiore della magistratura. Quattro giorni prima della strage alla stazione, il 29 luglio 1980, un esplosivo simile a quello usato per la strage del 2 agosto è attivato per colpire il Comune di Milano, ma l’ordigno deflagra solo parzialmente. A Roma e a Milano si pianificano attentati per provocare massacri, come poi avvenuto a Bologna. Gli inquirenti stabiliscono che anche i due attentati di Roma e Milano sono riconducibili ai Nar, Nuclei armati rivoluzionari, un’organizzazione di estrema destra composta da fuoriusciti del Movimento sociale italiano (Valerio Fioravanti, Francesca Mambro) esecutori della strage alla stazione e per questo condannati all’ergastolo il 23 novembre 1995. Anche a Luigi Ciavardini, al tempo minorenne, è comminata una pena di trent’anni in qualità di esecutore.
La giustizia si rivela poi clemente, considerato che Fioravanti, nonostante gli 8 ergastoli ricevuti, ha beneficiato della semilibertà già nel 1999, dopo 18 anni di carcere (tornando poi in libertà nel 2009) mentre Francesca Mambro (9 ergastoli) è libera dal 2013. L’indulgenza dello Stato è sperimentata da Fioravanti già al tempo del suo servizio militare quando, in qualità di sottotenente della Brigata corazzata Mameli in provincia di Pordenone, sottrasse 2 casse con 144 bombe a mano Srcm (due di queste lanciate contro una sede del Partito comunista a Roma) subendo una lieve condanna a 8 mesi, senza peraltro avere restituito la refurtiva. È appurato che i servizi segreti fossero al corrente del suo furto.
Non si può comprendere l’irto cammino verso una completa verità sulla strage del 2 agosto senza menzionare proprio il decisivo ruolo dei servizi segreti i quali non furono infidi soltanto durante la stagione del primo stragismo nero (1969 – 1974), ma lo sono stati altrettanto, in maniera più sofisticata e con motivazioni plurime, nel 1980 e negli anni successivi.
Tutti i processi di strage sono stati caratterizzati da durate decennali rispetto al loro accadimento, proprio in conseguenza dei depistaggi e delle sottrazioni di prove attuate dai servizi. Ad esempio, per Piazza Fontana (12 dicembre 1969) l’ultima sentenza è del 2005; per la strage di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974) la chiusura avviene nel 2017 mentre per i fatti di Bologna i processi, dopo quarant’anni, sono ancora in corso.
A gennaio del 2020 è stato condannato all’ergastolo, in primo grado, Gilberto Cavallini per avere fornito il supporto logistico agli esecutori della strage e si aprirà un nuovo processo sui mandanti che, nell’ipotesi accusatoria della Procura di Bologna, sono identificati nel capo della Loggia massonica P2 Licio Gelli (già condannato per depistaggio in questa vicenda) nel responsabile finanziario della P2 Umberto Ortolani e in due figure chiave della prima strategia della tensione (1969 – 1974) Federico Umberto D’Amato – a capo del servizio segreto civile fino al 1974 – e Mario Tedeschi esponente missino e direttore del settimanale “Il Borghese”. Anche D’Amato e Tedeschi sono affiliati alla P2 che ha disposto di uomini, come il criminologo Aldo Semerari, che sono serviti da anello di congiunzione con il mondo dei Nar.
Tra i nuovi documenti che hanno consentito la riapertura del caso, ce n’è uno intitolato “Bologna”, sequestrato a Gelli nel settembre del 1982 e redatto nel 1980. In questa carta, relativa ai fascicoli sul crac del Banco Ambrosiano e al tempo non trasmessa alla Procura di Bologna, sono annotati consistenti trasferimenti di denaro nei giorni a cavallo della strage, con riferimenti cifrati che richiamano personaggi legati alla strategia della tensione.
I servizi controllati dalla P2 con i loro depistaggi (sono stati condannati in via definitiva gli ufficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, oltre al faccendiere Francesco Pazienza) hanno eretto un muro per tenere disgiunti i mandanti dagli esecutori. Una parete che potrebbe essere definitivamente infranta benché sin d’ora, dai suoi squarci, si intravedono prospettive che portano a riformulare interpretazioni storiche troppo accomodanti costruite attorno a questi anni.