Uno dei brani più importanti della carriera di Fabrizio De André è stato scelto per l'inaugurazione del nuovo ponte San Giorgio, che è nato dalle ceneri del ponte Morandi, crollato due anni fa. La moglie dell'artista, Dori Ghezzi, e il maestro Mauro Pagani - che ha collaborato nel lontano 1984 alla realizzazione dell'album omonimo – hanno chiamato a raccolta per la versione 2020 della canzone molti artisti della musica italiana da Mina a Vasco, passando per Ornella Vanoni e Gianna Nannini. Il brano sarà in vendita in digitale dal 4 agosto
Il mondo della musica italiana si è mobilitato, in occasione dell’inaugurazione del viadotto “Genova – San Giorgio”, costruito sulle macerie del ponte Morandi, crollato due anni fa. Come canzone “simbolo” per questa importante rinascita per la città e, un po’ anche per tutta Italia, è stata scelta “Crêuza de mä”. È uno dei brani più importanti del repertorio di Fabrizio De André, il più idoneo per rendere omaggio non solo all’artista, ma anche a Genova e al Comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi. La canzone, dopo che sarà trasmessa, in diretta e in anteprima, durante l’inaugurazione, dal 4 agosto sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali.
Su iniziativa della moglie del cantautore Dori Ghezzi, il brano dunque rivive in una nuova versione nella reinterpretazione di artisti del calibro di: Mina, Ornella Vanoni, Vasco Rossi, Zucchero, Gianna Nannini, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Diodato, Vinicio Capossela, Paolo Fresu, Vittorio De Scalzi, Jack Savoretti, Antonella Ruggiero, Francesco Guccini, Ivano Fossati e, naturalmente, il figlio Cristiano De André. A dare un ultimo tocco c’è anche il maestro Mauro Pagani stesso, che ha contribuito alla nascita dell’album che dà il titolo alla canzone nel 1984. “La possibilità di realizzare una nuova versione di Crêuza de mä per l’inaugurazione del Ponte – ha dichiarato Dori Ghezzi – mi ha coinvolta in modo particolare e insieme a me ha appassionato la maggior parte dei più bravi cantanti italiani, purtroppo non è stato possibile far partecipare tutti. Voglio ringraziarli tutti per la passione messa in questo lavoro e anche per l’amore dimostrato nei confronti di Fabrizio”.
“Per cantare un solo verso di ‘Crêuza de Mä’ – ha scritto Vasco, per citare uno degli artisti coinvolti – mi sono immerso in un mare di sapori, profumi… Solchi di visi e tradizioni. Ho viaggiato con i marinai emigranti del ridere, quelli con la faccia bruciata dal sole. Sono stato con loro a casa di Andrea (che marinaio non è), abbiamo preso in giro i turisti svizzeri (che non ne sanno un cazzo di mare) e ho fatto l’amore con le loro donne. I marinai di Genova e di Faber. Questo che segue è il verso che ho sentito più mio: Figge de famiggia udù de bun che ti peu ammiàle senza u gundun (ossia ‘ragazze di famiglia, odore di buono che puoi guardarle senza preservativo’, ndr)”.
“Crêuza de mä” (che in italiano indica un viottolo di mare) è una pietra miliare della carriera di Fabrizio De André perché l’artista nel 1984 ha deciso, contro qualsiasi logica di mercato e discografica, di incidere un intero album in dialetto genovese. In sette brani, l’artista ha cantato naturalmente i viaggi, le passioni dei marinati, il mare, la sofferenza e il riscatto. Brani che sembrano degli acquerelli per dipingere una inedita storia millenaria ligure, che nessuno aveva raccontato in modo così sincero e diretto. Per rendere l’idea di come De André si è approcciato in maniera assolutamente artistica al progetto è stata riportata da La Repubblica, una intervista dell’epoca, quando è uscito l’album.
“Per la prima volta ho deciso di non fare il cantautore ma il cantante, quindi ci siamo (con Mauro Pagani, ndr) preoccupati del suono, del fonema cantato. Il dialetto genovese è ricchissimo di iati, dittonghi, forse più dell’inglese. – aveva dichiarato Fabrizio De André – Trovo più divertente fare una cosa che si ascolti volentieri e che comunichi delle emozioni, senza per forza dover fare dei “bei” testi. Diciamo che questa è musica cantata. Abbiamo cercato di dare un calcio a una porta chiusa, e non venderà un cazzo ma non è che mi disturbi, cioè mi disturba sul piano economico. Io in banca ho pochi milioni con un’azienda agricola da mandare avanti in cui rimetto i soldi, quindi io e Dori siamo due straccioni, ma se il lavoro dell’artista deve essere svilito, ok, sviliamolo, ma non andiamo a fare gli spot, quello no, non accetto l’ansia di vendere”.