di Tullio Rapone
La recente scomparsa, a soli 69 anni, di questo vulcanico personaggio fondatore e guida del mensile A-Rivista anarchica merita una riflessione più approfondita. E, aggiungiamo, non riguardante il solo ristretto mondo anarchico. Il ricordo della sua figura ha seguito un copione prestabilito. Da una parte la stampa “indipendente” che ha ripetuto che era amico di Pinelli, che fu il più giovane dei fermati dopo la montatura successiva alla strage di Piazza Fontana. E poi l’amicizia con De André, Don Gallo. Dall’altra il mondo anarchico ufficiale che non è uscito dall’agiografia del “…fu un compagno buono e generoso”.
Intendiamoci, Paolo Finzi lo è stato davvero, ma è la storia di una sconfitta all’interno e fuori del mondo anarchico. Paolo Finzi ha scritto molto, ma il suo pensiero è facilmente riassumibile nel suo continuo e ostinato impegno nel far uscire il pensiero anarchico fuori dal proprio orticello. Nell’ostinata convinzione che lo spirito libertario soffi ovunque e ovunque andasse ricercato.
Questo il motivo dei suoi poliedrici interessi che poi la Rivista Anarchica affrontava, nulla di più lontano dal mondo degli anarchici ”insurrezionalisti” votati ad un inevitabile minoritarismo. Negli anni si è portato dietro, talvolta, l’etichetta di moderato o, addirittura, di liberale. Critiche destituite di ogni fondamento perché Paolo Finzi è rimasto sempre legato alla tradizione storica anarchica italiana. Nello stesso tempo, però, con le antenne ben puntate su tutto ciò che avesse il sapore della democrazia diretta e della libertà dal basso. C’è da chiedersi come mai non sia riuscito a costruire un legame solido con la sinistra socialista e comunista.
Qui il pensiero corre a cento anni fa, quando l’anarchico Camillo Berneri collaborava a Rivoluzione Liberale. Certo, una cosa era avere a che fare con Gramsci e Gobetti, un’altra con una sinistra – fatichiamo a definirla così – alla Zingaretti e Renzi. Ma il fatto che un personaggio come Paolo Finzi sia stato ignorato in quel che resta del dibattito politico democratico la dice lunga sui tempi che stiamo vivendo.
Uno dei pochi, forse l’unico, con uno spessore culturale che lo ricollegava alla migliore tradizione anarchica italiana. Una passione ed un entusiasmo infranti lungo quella linea ferrata dove Paolo Finzi ha deciso di dire la parola fine. Il nostro pensiero è andato ad Alexander Langer, a Pasquale Cavaliere. Uguali e diversi nella generosità verso gli ultimi, ma accomunati da tempeste interiori che non potremo mai comprendere.