Colpito dalla ondata di dichiarazioni e articoli in Italia su una emergenza di sbarchi dalla Tunisia ho riattivato dopo tanto tempo i miei contatti tunisini. Agosto è cominciato a Tunisi con quaranta gradi, e gli odori mischiati dei narghilè alla menta e degli ovini arrostiti per la festa dell’Aid. Ma che si dice da voi su questa situazione? Luigi Di Maio ha addirittura sospeso 6 milioni di fondi della cooperazione, ci sono testate italiane che dicono che dalla Tunisia stanno scappando in massa.

I miei contatti reagiscono più o meno cascando dalle nuvole (i tunisini) oppure protestando (gli italiani in Tunisia, che seguono anche i media italiani). “Ma qui non c’è nessun esodo biblico, è una esagerazione mediatica tutta italiana”, è il commento che mediamente raccolgo.

L’attenzione dei media e dei social in Tunisia, come supponevo, è su altre questioni. Si può dire, come già in passato, che si discute di queste partenze solo quando c’è un naufragio significativo, e in quei casi si stigmatizzano sia le partenze, in quanto pericolose, che la debolezza o tardività dei soccorsi. “Ma davvero il governo italiano si scandalizza perché la guardia costiera tunisina non riesce a reprimere tutte le partenze? E invece non si scandalizza perché la guardia costiera libica spara sui migranti?” dice Taarek Chabbouni, imprenditore progressista e mi ricorda: “Abbiamo 1.300 chilometri di costa, dalla maggior parte dei quali è tecnicamente possibile partire”.

Adesso l’ultimo incubo italiano, o meglio il tormentone che ritorna, è quello dei pescatori che farebbero anche gli scafisti. La procura di Agrigento è riuscita a far arrestare 22 pescatori che avrebbero fatto da “scafisti” a un numero di migranti da definire, tra i quattro e gli undici. Ma i parenti degli arrestati si stanno organizzando in Tunisia e dicono che è tutto un equivoco. In ogni caso, vero o falso che sia il caso specifico, è la controprova che è assai difficile per la polizia tunisina intercettare tutte le partenze dalla costa, dato che tutte potenzialmente possono puntare su Lampedusa, Pantelleria, la Sicilia. Ma è così da molto tempo, anche da prima della rivoluzione del 2011.

Cosa sta succedendo? Leggo tra le principali testate italiane frasi come questa: “Il nostro inviato descrive un popolo di giovani donne e uomini in fuga da un paese quasi ridotto alla fame”. Anche chi dichiara solidarietà fa allarmismo in questi giorni in Italia. In Tunisia probabilmente il Presidente della Repubblica e il premier incaricato (c’è crisi di governo da aggiustare) hanno in mente anche questo vero o sceneggiato negoziato da fare con l’Italia, ma il tema, come dicevo, non esiste nell’opinione pubblica né nelle accese polemiche tra islamisti e modernisti.

Quali sono le reali dimensioni del fenomeno? Possiamo solo stare ai numeri dichiarati dall’Italia, e a fine luglio gli sbarcati dal 1 gennaio dalla Tunisia sono di poco superiori ai 5mila (comprendendo probabilmente, ma non è chiaro, una quota di subsahariani non tunisini). Il dibattito, per così dire, sembra incentrarsi sulla possibilità di prevenire queste partenze e questi sbarchi con maggiori controlli polizieschi e con aiuti economici.

Giusto discutere di aiuti economici dalla Ue alla Tunisia. Ma un primo elementare aiuto economico non sarebbe quello di concedere almeno qualche visto a chi vuol tentare la fortuna, mettere alla prova le proprie capacità in Europa? Gli articoli e le voci italiane di questi giorni sul presunto o possibile esodo biblico si dimenticano di raccontare che alla stragrandissima maggioranza della popolazione tunisina è preclusa la possibilità di avere visti di alcune genere per la zona Schengen. Solo a chi ha un forte reddito accertabile viene concesso un visto. E una volta i tunisini andavano in tanti a lavorare in Libia, ora no.

Di fronte a questa situazione 5mila che tentano di emigrare in sette mesi è una cifra ridicola. Ridicola. Stiamo parlando di un paese di 11 milioni e 800 mila abitanti – in prevalenza giovani – verso un paese di 60 milioni. Vuol dire che meno di un tunisino su duemila ha tentato di emigrare verso l’Europa attraverso l’Italia, che vedono come un paese di passaggio e non come meta. Per l’Italia è l’equivalente di un arrivo ogni 12mila abitanti. Cosa succederebbe da noi se alla stragrande maggioranza fosse negata la possibilità di emigrare, mentre ora si trasferiscono all’estero 200mila italiani l’anno? Diremmo che va bene così, che per favore ci diano aiuti economici per non varcare mai le Alpi, mai nella vita?

L’esperto cooperante italiano Alberto Sciortino mi conferma che le rimesse degli emigranti, quelli emigrati in Francia quando non era diventato impossibile farlo, restano una fonte fondamentale del reddito complessivo della Tunisia. Addirittura la prima fonte. Ma di questo non si parla, è tabù quando si incontrano tra loro i governi europei e quello tunisino. Gli uni temono il voto dei partiti xenofobi, gli altri trovano poco onorevole e poco redditizio chiedere di riaprire canali legali di emigrazione.

La Tunisia è un paese con le sue difficoltà accresciute come ovunque dal Covid e da anni di sabotaggio europeo verso le sue attrazioni turistiche. Non è un paese sull’orlo della fame. In ogni caso l’allarmismo tutto e solo mediatico italiano su un presunto boom delle partenze rivela solo quanti tabù e pregiudizi si siano radicati da noi e siano da rimuovere. Ci sarebbe da allarmarsi per quanto i giovani tunisini abbiano rinunciato a rivendicare il diritto a viaggiare in Europa, non per quei pochi che provano a venire.

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