Non si ferma l’offensiva statunitense verso tutto ciò che ha a che fare con internet e Cina. Dopo TikTok nel mirino delle autorità è finita Zoom, applicazione di video conferenze la cui notorietà si è accresciuta in periodo di lockdown e smart working. Anche in questo caso sotto scrutinio c’è la possibilità che alcuni dati di utenti americani siano stati condivisi con il governo cinese. Zoom è in realtà una società statunitense con sede in California e quotata a Wall Street dove capitalizza 72 miliardi di dollari. E’ stata però fondata da Eric Yuan, immigrato cinese e, soprattutto, negli ultimi mesi è stata protagonisti di alcuni episodi giudicati sospetti. A inizio anno Zoom ha ammesso di aver essersi erroneamente appoggiata a server cinesi per ospitare videconferenze di utenti americani. Inoltre a giugno la società aveva chiuso (e poi riaperto) il profilo di alcuni attivisti cinesi che stavano organizzando un evento celebrativo dell’anniversario della repressione delle proteste di piazza Tienanmen del 1989. Vicende che avevano indotto alcuni esponenti del Congresso a sollecitare un’indagine del ministero della Giustizia statunitense. Forse per giocare d’anticipo, la società ha annunciato oggi che dal prossimo 23 agosto non offrirà più direttamente il suo servizio agli utenti cinesi ma lo farà soltanto attraverso parti terze. I clienti cinesi non potranno quindi acquistare servizi direttamente da Zoom ma soltanto da partner locali che utilizzano parti della tecnologia della società.
TikTok verso Microsoft – Anche perché l’aria per ciò che ha a che fare con la Cina si sta facendo pesante. Oggi il presidente Usa Donald Trump ha dato 45 giorni a Microsoft per concludere un accordo per l’acquisizione delle operazioni di TikTok negli Usa. Lo riportano diversi media riferendosi alla telefonata del presidente americano con l’amministratore del colosso tecnologico Satya Nadella. Microsoft ha auspicato di chiudere la partita entro il 15 settembre. Il colosso Usa è in trattativa con la cinese ByteDance, casa madre di TikTok, per acquisire anche le attività canadesi, australiane e neozelandesi del social di brevi video che spopola tra i giovani e avrebbe ormai superato il miliardo di utenti. A monte di tutto c’è la minaccia di messa al bando del social prospettata dalla Casa Bianca a causa del rischio di trasmissione alla Cina di dati sensibili di utenti statunitensi
Quel che è certo è che la pressione statunitense contro la Cina continua a crescere. Le mosse in ambito web sono parte di una più ampia offensiva economico commerciale nei confronti di Pechino che include dazi e altri interventi. Tra questi la messa al bando del gruppo cinese Huawei dallo sviluppo di infrastrutture 5G, accompagnata da pressioni sui paesi alleati perché facessero lo stesso.