“L’elefante non c’è più”, ha annunciato poche settimane fa Branko Milanovic, già economista della Banca Mondiale e docente della City University di New York. Nessun riferimento alla savana, bensì al suo più importante lavoro sul tema delle disuguaglianze economiche, che ha segnato il dibattito dell’ultimo decennio. L’elefante rappresenta infatti la curva di distribuzione dei redditi pro capite ed evidenzia la crescita imponente, negli anni di sviluppo della globalizzazione, delle entrate per la popolazione dei Paesi in via sviluppo e dei ricchi più ricchi del mondo. Ai danni della classe media delle economie mature. Nel suo nuovo paper, Milanovic ha aggiornato i suoi dati per gli anni compresi tra il 2008 e il 2013, ovvero a latere della grande crisi e durante la successiva ripresa. Mostrando che il top 1% dei ricchi del mondo, quello che dava forma alla proboscide nel suo primo lavoro, ha registrato il minor incremento del reddito. Anche i ricchi piangono? Studi simili condotti da altri economisti, anche per gli anni appena analizzati da Milanovic, suggeriscono valutazioni più prudenti. Ma tutti concordano sulla convergenza dei redditi nel mondo.
Nel 2013 Milanovic, insieme a Christoph Lakner, economista della Banca Mondiale, aveva pubblicato lo studio intitolato Global Income Distribution: From the Fall of the Berlin Wall to the Great Recession, reso celebre da una suggestiva infografica che prese il nome di “grafico dell’elefante”. Utilizzando i dati della Banca Mondiale, il grafico incrociava la distribuzione dei redditi nel mondo in percentili, cioè divisa in gruppi dal più povero al più ricco, con il tasso di crescita del reddito nel periodo compreso tra il 1988 e il 2008. La curva scaturita da questo grafico appariva proprio come la sagoma di un elefante: crescente fino a metà del grafico, per poi affrontare una brusca discesa e, in corrispondenza della popolazione più ricca del mondo, in precipitoso rialzo proprio come una proboscide. Questo grafico evidenziava che nella dinamica distributiva dei redditi del ventennio considerato, i vincitori erano sostanzialmente due. La classe media asiatica e dei Paesi in via di sviluppo, che era riuscita a sfuggire alla povertà estrema e aveva visto un deciso incremento dei propri redditi, fino al 70 per cento in più. E il ristretto club degli ultraricchi globali, quelli dell’1% del mondo, che seppur detenendo già i redditi più alti del pianeta, erano riusciti a farli crescere ulteriormente per oltre il 60 per cento. I dati di Milanovic indicavano una crescita media dei redditi nel mondo del 24 per cento. Chi erano dunque gli sconfitti, ovvero coloro i cui redditi erano cresciuti al di sotto della media? Anche in questo caso, due gruppi. I più poveri tra i poveri, cioè il 5% della popolazione del mondo con il reddito più basso. E coloro ricompresi tra l’80esimo e il 95esimo percentile, cioè la classe media del primo mondo, i cui redditi, tra la caduta del muro di Berlino e la Grande Recessione, erano rimasti praticamente stagnanti. Per questo gruppo, il periodo tra il 1988 e il 1993 era stato addirittura negativo, in rosso per quasi il 20 per cento.
Nelle scorse settimane Milanovic ha proposto un aggiornamento di questo studio, per gli anni compresi tra il 2008 e il 2013. Mostrando una curva che parte molto più in alto rispetto alla precedente, crescente fino alla metà della distribuzione, ovvero la metà del mondo meno ricca, e da lì in poi discendente, per la metà del mondo più ricca, fino a stabilizzarsi intorno a un incremento compreso tra il 10 e il 20% per i più facoltosi. Insomma, è sparita la proboscide e “l’elefante non c’è più”, come ha twittato Milanovic. Secondo lo studio i redditi nel mondo negli anni considerati sono cresciuti del 23%, dunque in pratica allo stesso livello del ventennio precedente. Ma le differenze tra le regioni del mondo, che hanno portato a questo risultato complessivo, sono nette. L’area denominata WENAO, cioè Europa Occidentale, Nord America e Oceania ha visto una crescita reddituale dell’1%, mentre Asia ed Est Europa insieme all’Asia Centrale hanno registrato un incremento dei redditi rispettivamente del 49 e del 43 per cento. Come conseguenza il coefficiente di Gini, che misura la concentrazione del reddito segnalando con valori più alti una maggiore disuguaglianza e con valori più bassi una distribuzione più equa, si è ridotto di quasi 5 punti base, ed è passato dal valore globale di 66,4 del 2008 a quello di 61,6 del 2013. Metà di questa riduzione, secondo l’autore, va ricondotta agli incrementi salariali della Cina. Insomma, i nuovi risultati portati da Milanovic suggeriscono che a soffrire di più l’ultima crisi finanziaria e gli anni immediatamente seguenti siano stati i più ricchi.
Sebbene molti considerino il grafico dell’elefante tra gli approfondimenti economici più influenti dell’ultimo decennio, altrettanti hanno sollevato sul lavoro di Milanovic critiche e rilievi. Tra questi c’è Adam Corlett, ricercatore della Resolution Foundation, che nel suo report Examining an elephant ha evidenziato come la curva dell’elefante sia stata utilizzata per dare una sola particolare visione della globalizzazione. Corlett, infatti, mette in luce alcuni importanti aspetti metodologici. Innanzitutto, la differenza tra i Paesi considerati. Grandi Paesi in termini di popolazione come Russia, Ucraina, Vietnam, Sud Africa, Tanzania, Congo e Paesi molto ricchi come Lussemburgo, Norvegia e Singapore erano presenti nel gruppo del 2008, ma non in quello del 1988. Al contrario, Australia, Nuova Zelanda, Iran, Uzbekistan e Algeria erano stati considerati per il 1988, ma non erano presenti per il 2008. Solo per 60 Paesi su 130 erano presenti dati per tutto l’arco temporale considerato. Oltre alle differenze statiche nella costruzione del campione, Corlett sottolinea anche quelle dinamiche. La riduzione della popolazione nelle economie mature e il forte incremento demografico registrato invece in Asia e nei Paesi in via di sviluppo ha infatti avuto una ricaduta diretta sui risultati complessivi dello studio. Il 10% più povero degli Usa, per esempio, ha visto migliorare la propria posizione nella classifica dei redditi mondiali solo in virtù dell’aumento globale di popolazione nei Paesi pro capite meno ricchi, come la Cina. Insomma, secondo la simulazione di Corlett, l’elefante prenderebbe forma anche se considerassimo la sola evoluzione demografica diseguale del pianeta, tenendo ferme le dinamiche di reddito. Al contrario, se escludessimo dai dati originali alcuni Paesi che hanno vissuto internamente delle evoluzioni peculiari, come Cina, Giappone e gli ex Stati satellite dell’Unione Sovietica, l’elefante perderebbe ogni forma e la curva si trasformerebbe in un tracciato molto più omogeneo.
Lo stesso è accaduto per il primo World Inequality Report, presentato due anni fa dagli economisti Facundo Alvaredo, Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman. Al suo interno il team di studiosi aveva replicato il grafico proposto da Milanovic, analizzando un periodo più ampio, che partiva nel 1980 e arrivava fino al 2016. Comprendendo quindi anche gli anni che il docente serbo-americano ha approfondito nel suo ultimo lavoro. Anche in questo caso l’elefante spariva, la curva era molto più dolce nella sua prima parte e la presunta proboscide diventava molto più alta. Secondo Piketty e soci l’1% più ricco del mondo si è accaparrato il 27% della crescita complessiva dei redditi mondiali, mentre il 50% più povero, cioè la metà del mondo meno ricca, solo il 12 per cento. Due sono le differenze sostanziali tra i lavori, oltre all’arco temporale. L’origine dei dati e la definizione di che cosa sia reddito. Milanovic ha utilizzato centinaia di sondaggi realizzati dalla Banca Mondiale, in cui le definizioni di reddito e consumo venivano interscambiate per ampliare il panel e coprire quanto più possibile le aree del globo. Il gruppo del World Inequality Report ha invece utilizzato dati amministrativi, in particolare quelli fiscali. E ha preso a riferimento il Reddito nazionale lordo, ovvero il Pil al netto di import ed export, considerando ogni dollaro prodotto all’interno di un Paese, anche quello realizzato dalle aziende. Justin Sandefur, senior fellow del Center for Global Development, ha ristretto questi diversi dati agli stessi anni considerati da Milanovic. Con il risultato di ottenere non più un elefante, ma quello che ha definito un “mostro di Lochness”.
Restano comunque solide un paio di considerazioni, scrive Sandefur: “La prima è che dopo un periodo di crescente disuguaglianza globale nella metà del ventesimo secolo, i redditi di tutto il mondo stanno ora convergendo con la crescita dei grandi Paesi in via di sviluppo. La seconda è che questa forza equilibrante è parzialmente controbilanciata dalla crescita di una piccola elite globale separata dagli altri”.