Le beffe si susseguono e stavolta a subire lo smacco sono gli uffici giudiziari della città dell’elefantino. I pirati informatici di Anonymous e LulzSec sono andati nuovamente a segno, entrando e scorrazzando liberamente nelle viscere digitali del Tribunale di Catania. Non proprio una violazione qualunque, anche se – come al solito – fuori dalla portata dei riflettori che la stampa orienta sempre ben lontano dalle inquietanti scene virtuali del delitto. Nel mirino delle squadre italiane dei due gruppi internazionali probabilmente non c’è soltanto un ufficio periferico del Ministero della Giustizia.
Buon pomeriggio @minGiustizia you have been pwned! #Hacked #Ministero #Anonymous #LulzSecITA #JustForLulz pic.twitter.com/EFJq6ayZUj
— LulzSecurityITA (@LulzSecurityITA) August 3, 2020
L’arrembaggio andato a segno ieri pomeriggio è soltanto l’ennesima dimostrazione dell’inequivocabile livello di vulnerabilità della Pubblica Amministrazione che sembra non essere in grado di proteggere nemmeno le risorse tecnologiche destinate ad ospitare informazioni riservate come quelle dei procedimenti civili e penali.
Le impietose immagini rese pubbliche dagli impertinenti protagonisti attivi di questa azione intrusiva manifestano una serie di lampanti tracce di irresponsabilità. Chi dà un’occhiata alle password si accorge che nemmeno sugli elementi basilari di sicurezza ci sono né indicazioni cogenti né controlli sulla loro osservanza.
E’ vero, la colpa è degli utenti troppo “leggeri” nei loro comportamenti e poco consapevoli dei rischi cui espongono l’organizzazione di appartenenza. Ma chi sta sopra di loro perché non fa nulla, assolutamente nulla per evitare simili situazioni?
Raccontiamo sempre la stessa storia, quella di incapaci piazzati in posti di seria responsabilità senza averne la benché minima competenza. Parliamo di persone che ostentano su Linkedin e dintorni le più bizzarre qualifiche anglofone e poi palesano il raggiungimento di quelle posizioni solo in virtù di un amico politico o di qualche altro incosciente che ne ha raccomandato l’avanzamento di carriera.
Poi arrivano quattro ragazzini che – quasi si giocasse ad indiani e cowboy – arrivano e legano tutti i prigionieri che nemmeno si rendono conto di quel che sta capitando. Quando si capirà che l’aspetto ludico di queste vicende non fa più ridere nessuno? Quando si avrà tempo, modo e voglia di affrontare il problema della sicurezza hi-tech che comincia proprio dalle piccole cose? In queste ultime settimane sono stati colpiti l’Agenzia per l’Italia Digitale, le Camere di Commercio, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, l’Agenzia nazionale per i Servizi Sanitari regionali e la nonchalance regna sovrana.
La totale assenza delle istituzioni preposte alla salvaguardia del “perimetro cibernetico” del Paese non tranquillizza affatto. I vari Vecchione, Baldoni & C. che abbondano di rassicurazioni sulla solidità delle protezioni informatiche e sull’efficacia delle entità del Dis, del Cnaipic, dell’Agid, dei colossi industriali, perché non ci spiegano cosa sta succedendo?