di Gigi Potacqui
Una pandemia mondiale, nell’anno 2020, che stravolge le nostre vite e le abitudini di gran parte dell’umanità. Se qualcuno ce lo avesse detto, avremmo pensato più ad un romanzo distopico che ad una possibile realtà. Invece tutto ciò è accaduto veramente, ci siam ritrovati nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria planetaria che di conseguenza ha toccato, inevitabilmente, anche il mondo dello spettacolo, della musica, dello sport.
Tanti eventi in programma nel nuovo anno saltati, molte manifestazioni primaverili ed estive cancellate, altre rimandate a data da destinarsi o posticipate.
E quest’ultimo è il caso della nostra tanto amata Serie A, che dopo più di due mesi di stop forzato per il Covid-19, è ripartita il 20 giugno a suon di “giornate”, una dietro l’altra, “domenica-mercoledì-domenica”, per cercare di concludere entro i primi giorni di agosto il campionato, scombussolando e non poco i programmi e le prestazioni delle squadre. A chi in meglio, a chi in peggio.
E a conti fatti, a risentire di più del lockdown e di questo tour de force è stata probabilmente la Lazio.
I biancocelesti, già fuori dall’Europa League, a marzo erano al secondo posto solitario ad un solo punto dalla Juventus, con la possibilità di gestire al meglio le risorse e i componenti della rosa settimana per settimana, oltre che in forma smagliante e con un morale alle stelle per via della lunga striscia di risultati positivi.
Tutto lasciava presagire ad un duello all’ultimo sangue con i bianconeri di Maurizio Sarri che, pur avendo una rosa più completa rispetto a quella laziale, destava comunque qualche perplessità e in più aveva ancora la Champions League da giocare, particolare non di poco conto.
Invece, il “fermo” del campionato – e il nuovo asfissiante calendario – ha distrutto le certezze di Immobile e compagni, oltre che limitato le loro prestazioni per via anche della rosa corta a disposizione di Simone Inzaghi.
Ne ha invece giovato sicuramente l’Atalanta, un po’ per la sua attitudine fisico-tattica ad approcciare le partite, un po’ per le diverse “carte” da potersi giocare durante i match, vedi Mario Pasalic, Ruslan Malinovskyi e soprattutto Luis Muriel, in alternativa al trio delle meraviglie titolare Papu Gomez-Josip Ilicic–Duvan Zapata.
L’attaccante colombiano, ex tra le tante di Fiorentina e Siviglia, è stato forse la vera sorpresa di questo campionato.
Più che per le sue qualità, già ben note agli appassionati di calcio, a stupire è stata la continuità e soprattutto la capacità di starsene tranquillo in panchina, accettando il ruolo di “dodicesimo titolare” (guai a ricordarglielo però) e risolvendo spesso le partite da subentrante con perle assolute. 1246 minuti totali giocati, 18 gol segnati (più o meno uno ogni 69 minuti), 11 partendo dalla panchina: se non è un record, poco ci manca…
E se l’Atalanta ha confermato il terzo posto dello scorso anno (ma con 9 punti in più), il merito è anche il suo.
E poi che dire del Milan di Stefano Pioli? Davvero una delle sorprese più gradevoli e inaspettate post lockdown.
Una squadra che sembrava ormai allo sbando, con l’ennesimo cambio preannunciato in panchina già da gennaio (Ragnick era già dato come nuovo allenatore) e con una società confusa e divisa. Poi, due mesi dopo il ritorno in campo, agli occhi di tutti è parso di vedere completamente un’altra squadra.
Il diavolo è rimasto imbattuto per tutte le ultime 12 gare di Serie A in un singolo campionato per la prima volta dalla stagione 1991/92; è stata la squadra che ha segnato più reti (35) nei top-5 campionati europei dopo la sosta forzata ed è stata la seconda squadra a conquistare più punti (30) nei top-5 campionati europei dopo il blocco, dietro solo al Real Madrid neo campione di Spagna (31): tutto questo è valsa la riconferma inaspettata ma meritata di mister Pioli.
Alcuni nomi su tutti? Hakan Calhanoglu e Franck Kessie.
Il turco, grazie anche all’imponente presenza di Zlatan Ibrahimovic, quasi 39 anni e non sentirli, che ha rivitalizzato e guidato tutto l’ambiente con la sua leadership e la sua classe, ha giocato forse il miglior calcio da quando è professionista. Classe, corsa, qualità ma soprattutto tanta personalità che sembrava essere il suo tallone d’Achille: nove gol, nove assist e tanti strappi decisivi.
L’ivoriano invece ha dominato il centrocampo, coadiuvato dal folletto Ismael Bennacer (uno dei pochi che invece aveva già dato segnali prima del lockdown).
Una nota di merito va anche Al danese Simon Kjaer che, arrivato da un personale girone d’andata disastroso con l’Atalanta, ha dato supporto alla giovane difesa rossonera ristabilendo equilibri e sicurezza.
Anche il Napoli di Gennaro Gattuso è ripartita con il piglio e la tigna giusta, conquistando prima la Coppa Italia (che è valsa la qualificazione alla prossima Europa League), poi dando continuità a prestazioni e risultati, anche se le “zone nobili” della classifica, obiettivo iniziale dichiarato del club partenopeo, erano ormai irraggiungibili dopo il mandato “ancelottiano”. Con qualche ritocco e senza smantellamenti, gli azzurri con la passione e la fame inculcata da “Ringhio” possono tranquillamente tornare a lottare per le prime posizioni.
L’Inter di Antonio Conte invece ha avuto un rendimento positivo dopo il blocco del campionato, con una sola sconfitta, quattro pareggi e ben otto vittorie, che gli hanno permesso di conquistare il secondo posto ad una sola lunghezza dalla Juventus. Ma nonostante il miglioramento di risultati rispetto alla scorsa stagione (+13 punti) e il gap accorciato nei confronti dei bianconeri, in casa nerazzurra le acque sono sembrate quasi sempre agitate.
Da una parte ce lo saremmo dovuti aspettare visto il carattere “focoso” del tecnico pugliese che si sa, non ha peli sulla lingua. Ma onestamente, nonostante si può in parte essere d’accordo con alcuni dei suoi concetti espressi durante tutta la stagione, si fa fatica a comprendere le sue “sparate”, per tempistiche e modi.
L’Inter negli ultimi dodici mesi ha aggiunto qualità, quantità, esperienza e fisicità con gli acquisti di giocatori del calibro di Godin, Eriksen, Young, Lukaku e con giovani come Barella, Sensi e Bastoni. La strada tracciata sembrerebbe quella giusta, con i giusti tasselli mancanti e la mentalità “contiana” sempre più inculcata nelle teste dei calciatori, potrebbe davvero ambire allo scudetto il prossimo anno.
Ma l’aria che tira, dovuta in gran parte alle continue dichiarazioni del suo allenatore, non lascia presagire a nulla di buono. E come spesso accade in questi casi, l’ombra di un nuovo allenatore si fa pian piano sempre più ingombrante.
TOP XI di Romanzo Calcistico
a cura di Gigi Potacqui
Ed è bello chiudere con il messaggio “veicolato” dal bomber di Altamura, partito dalla Prima Categoria pugliese e arrivato ad essere, con ben 21 gol, il secondo marcatore italiano in una singola stagione di serie A: “Mai smettere di crederci, mai smettere di sognare”.