“Diciamolo: ci voleva lo spavento del virus per riaccendere la scintilla della religiosità in un mondo secolarizzato e scristianizzato”. Ne è convinto Enzo Romeo, caporedattore e vaticanista del Tg2, che nel suo ultimo libro intitolato Vuoto a credere (Ancora) ripercorre quello che lui stesso definisce un “diario del tempo sospeso”. Un volume che vuole fotografare, perché se ne abbia memoria in futuro, la fede, la Chiesa e Papa Francesco al tempo della pandemia.
Per questo Romeo annota tutto ciò che Bergoglio ha fatto e detto dal 26 gennaio, nell’Angelus domenicale in piazza San Pietro dove per la prima volta parlò del coronavirus, al 3 maggio, ultimo giorno della cosiddetta fase 1.
Quella che emerge dalle pagine non è una semplice cronaca degli avvenimenti più salienti di Francesco e della Chiesa universale, con uno sguardo particolare a quella italiana, durante il periodo del lockdown. Un tempo nel quale per la prima volta i fedeli, della Penisola e non solo, non hanno potuto partecipare alle celebrazioni eucaristiche, perfino durante la Settimana Santa e Pasqua. Un inedito nell’inedito, soprattutto per l’Italia che ancora conserva le sue radici cattoliche e le sue numerose e folcloristiche tradizioni popolari legate alla passione, morte e resurrezione di Gesù diffuse in tutto il territorio nazionale.
Ciò che si evidenzia con forza nelle pagine di Romeo è un vero e proprio magistero sul coronavirus, ovvero sulla sofferenza dell’uomo che crede di saper dominare tutto e che, invece, viene sopraffatto e stordito all’improvviso dalla pandemia. Emerge la grandezza della figura di Bergoglio che ha saputo davvero tenere unito il mondo, credenti e non, durante l’indimenticata e suggestiva preghiera del 27 marzo in una deserta e piovosa piazza San Pietro. Un’immagine che resterà tra quelle più importanti del pontificato, rubando la scena perfino all’apertura del Giubileo straordinario della misericordia.
“Durante le settimane dell’emergenza Covid-19 – scrive Romeo – nelle chiese rimaste aperte, persone qualunque, ben distanziate fra loro, in silenzio tra i banchi, hanno cercato compagnia davanti al Santissimo. Si sono riviste vecchie forme devozionali, sono rispuntate immaginette di santi che si credevano ormai sparite, si è guardato al cielo e alle nuvole cercando segni e apparizioni, si è rimasti incollati davanti al televisore a seguire messe, rosari e liturgie”.
Romeo ricorda che “si tratta, spesso, di espressioni tipiche di una fede bambina, che cerca consolazione nella paura. Ma c’è qui anche il germe della ricerca escatologica, del significato ultimo delle cose, che scopriamo ancora vivo a dispetto dei diserbanti a base di materialismo consumista spruzzati abbondantemente per decenni sui campi di quel grande podere che è la nostra società”.
Per il giornalista “sarebbe, però, un errore prendere il fenomeno sottogamba, snobbarlo con la sufficienza di chi sa tutto e conosce tutto. Piuttosto, è una grande opportunità di testimonianza. Quello che si sta aprendo davanti a noi sarà un tempo di dolore e di sfida, in cui saremo chiamati a piegarci su uomini e donne feriti, smarriti, impoveriti. Dovremo essere gli uni per gli altri dei cirenei. Accompagnandoci con il passo di credenti umili e maturi, che sanno purificare lo sguardo dalle scorie emozionali o miracolistiche e procedere sul sentiero delle verità che contano. Passando al setaccio la massa di sensazioni, di istinti, di impulsi che l’emergenza coronavirus ha generato. In modo che ci restino in mano le piccole pepite d’oro raffinate dalla sofferenza e che si getti via tutto il resto”.
Secondo il vaticanista, infatti, è questa la strada “per approdare alla fede autentica, sicuri e saldi nella roccia del Vangelo, vissuto dentro l’Ecclesia, misurato nella concretezza della dura quotidianità, con la condivisione dei tanti drammi che sono sotto i nostri occhi: il malato che muore senza nessuno accanto, la famiglia isolata, il lavoratore ora disoccupato… Un accompagnamento discreto e amorevole, declinato nei mille modi possibili, dalle attività caritative al semplice sorriso o alla telefonata per dire io ci sono, non temere, resto al tuo fianco”.
Parole che riprendono quelle pronunciate da Francesco nella preghiera del 27 marzo: “È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
Come commenta giustamente Romeo “non è il forever young della società dell’immagine, che pretende di cancellare ogni ruga. È la (ri)scoperta di una dimensione più profonda, di un’eternità dell’anima. A questa consapevolezza perveniamo prendendo atto che siamo un’unica famiglia umana, che il papà e la mamma devono condividere tempo a sufficienza coi propri figli, che i nonni hanno molto da dare e da ricevere, che il vicino di casa non è un estraneo, che la persona che incrocio in strada non è avulsa dal mio destino, che il cinese o l’africano sono dietro l’angolo del mondo globalizzato e non è tanto strano chiamarli fratelli. Che ognuno è un essere speciale. E potremo dirci, prometterci: avrò cura di te; sì, avrò cura di te”.