Se all’orizzonte c’è un’inchiesta giudiziaria Attilio Fontana, avvocato prima di essere governatore della Lombardia, sa dove spostare il possibile bersaglio degli inquirenti. Era già successo a giugno con Luigi Cajazzo, il direttore generale della Sanità lombarda sentito come teste nella delicatissima inchiesta della procura di Bergamo sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo (Bergamo), era stato promosso alla poltrona di vice segretario generale della Regione con delega all’integrazione sociosanitaria. Una funzione che non esisteva prima. Nell’inchiesta dei pm di Bergamo sono state iscritte due persone, ma la loro identità è allo stato sconosciuta.
Stesso modus operandi per un altro caso giudiziario, quello in cui il presidente leghista è indagato per il pasticciaccio brutto dei camici. Non potendo (volendo) lasciare il Pirellone, Fontana ha promosso Filippo Bongiovanni, allora direttore generale della centrale acquisti lombarda Aria e iscritto nel registro degli indagati insieme al cognato del governatore e Fontana dai pm di Milano a ruolo di coordinatore del Sistema delle società regionali (Sireg) che comprende enti come l’Arpa ma anche Finlombarda, le aziende ospedaliere, l’Aler e le aziende a partecipazione regionale come Fnm. Bongiovanni aveva chiesto di essere assegnato a nuovo incarico. Erano sembrate dimissioni, anche se la Regione gli aveva ribadito piena fiducia. Come del resto avvenuto per lo stesso Cajazzo. Ma pochi giorni dopo il nuovo incarico è arrivato l’upgrade. La centrale acquisti della Regione Lombardia, guidata dall’ex finanziere, è nel mirino della procura di Milano che sta indagando sulla fornitura da 513mila euro di camici e altro materiale, poi trasformata in donazione, da parte della Dama, società di cui la moglie del governatore Attilio Fontana detiene una quota e di cui il cognato Andrea Dini è titolare. Bongiovanni è indagato, assieme a Dini, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. Mentre il governatore lo è per frode in pubbliche forniture. Dini finora ha sempre negato, affermando che il suo intento era sin dall’inizio a scopi benefici, mentre Fontana ha cambiato più volte versione: dal “non sapevo” a “volevo partecipare alla donazione”. Come riportato dal Fatto Quotidiano, però, lo stesso manager avrebbe firmato di suo pugno un’email in cui si parlava esplicitamente di “prezzi e forniture”. Documento acquisito dagli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza.
Secondo l’ipotesi dei pm Luigi Furno, Paolo Filippini e Carlo Scalas, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, Bongiovanni avrebbe saputo del conflitto di interessi in cui si trovava l’azienda destinataria dell’affido diretto di Dpi durante l’emergenza coronavirus che – è emerso dai primi accertamenti – come altre nel periodo dell’emergenza sanitaria non ha sottoscritto il “patto di integrità”, previsto dalla normativa anti-corruzione dell’Anac. Dalle prime ricostruzioni, in particolare in base ad alcuni documenti già acquisiti e alle audizioni dei tecnici, è emerso che durante la pandemia le procedure, vista l’urgenza, si sarebbero svolte in un modo più snello al punto che prima sarebbero state affidate le forniture e poi sarebbero stati effettuati i controlli previsti dalla normativa. Una procedura, quella seguita per l’azienda della famiglia del governatore, sulla quale inquirenti e investigatori si stanno focalizzando capire, chi, oltre ai due indagati, fosse stato al corrente del conflitto di interessi. C’è da capire anche per volontà di chi la fornitura si è trasformata in una donazione – mentre la trasmissione Report indagava sulla vicenda – che nemmeno si sarebbe completata: è stato infatti accertato che dei 75mila camici di terzo livello, cioè da destinare agli ospedali che in quei giorni avevano le scorte ridotte al minimo, ne sarebbero stati consegnati solo 50mila, mentre una tranche di 25mila è rimasta nei magazzini della Dama per essere rivenduta ad altri committenti. Dall’istruttoria finora svolta è stato inoltre evidenziato che il contratto stipulato con Dama – sembra consigliata dall’assessore Raffaele Cattaneo – prevedeva che l’azienda avrebbe dovuto produrre 5mila capi al giorno, consentendole così di saturare la sua capacità produttiva e di continuare a tenere le fabbriche aperte durante il lockdown.
La nomina di Bongiovanni, di cui Affaritaliani aveva dato notizia il 15 luglio, risale al 14. Proprio nei giorni caldissimi dell’inchiesta, Porta quella data, infatti, la delibera della giunta regionale che dopo aver “preso atto” di come Bongiovanni abbia “ritirato, con nota protocollo n. 227691 del 14 luglio 2020, il proprio consenso al mantenimento dell’attuale incarico”, istituisce una “Unità Organizzativa incardinata nella Presidenza – Segretariato, che garantisca il coordinamento delle funzioni inerenti il SIREG allocate presso le diverse Direzioni della Giunta”. E ne assegna la direzione allo stesso Bongiovanni “in considerazione dell’esperienza professionale maturata in Giunta Regionale e negli Enti e Società del SIREG”. All’ex dg di Aria è affidato il presidio organizzativo di tutte le funzioni inerenti il Sireg e il presidio tecnico della cabina di regia regionale. Contestualmente viene dato mandato al Segretario generale perché attivi le procedure per individuare il nuovo Direttore Generale di Aria. Giro completato per ora.