La notizia del turista che per mettersi in posa per una foto ha deciso di sedersi sulla statua di Paolina Borghese al Museo di Possagno ha fatto il giro del mondo. Perché il capolavoro di Canova ha avuto le dita di un piede spezzate. Un incidente, ovviamente. Ma anche la prova che c’è qualcosa che non va.
Ormai da tempo. Da quando l’ossessione del selfie ha travolto le persone. Da quando il desiderio di immortalarsi insieme all’opera nel museo ha avuto la meglio. Sulla voglia di ammirare le opere d’arte. Fino al punto di esserne rapiti. Di entrarci quasi dentro.
La questione è seria, a dispetto di quanto molti pensino. Perché in fondo riguarda la fruizione da parte dei visitatori. Il loro reale interesse a visitare la sala di una pinacoteca, come quella di un antiquarium. Già, perché l’ingresso in un luogo della cultura comporta evidentemente una scelta. Che non può non essere consapevole. Altrimenti, diventa inutile. L’esperienza si trasforma in una perdita di tempo, fine a sé stessa.
Essere spinti a muoversi per andare in uno spazio dedicato ad osservare non è un dono il più delle volte. E’ un esercizio. Una abitudine. Che va alimentata. Il problema è che in non pochi casi si va soprattutto per potersi immortalare con il capolavoro noto e celebrato. Naturalmente non per un semplice, ma condivisibile, ricordo personale. Ma piuttosto per poterlo condividere sui social. Per far sapere ai propri amici e follower che siamo andati in un museo piuttosto che in un altro.
D’altra parte se le celebrità lo fanno, perché mai non lo dovrebbero fare anche gli altri? Insomma, le persone normali? Certo è che in questa maniera i grandi capolavori spesso finiscono per vampirizzare le altre opere, vicine. In molti casi, non meno meritevoli di attenzioni.
Il caso della Gioconda, al Louvre è esemplificativo. La sua collocazione nella Salle des Etats richiama sempre le folle dei visitatori. Tanto prese dal celebre dipinto di Leonardo e dalla possibilità del selfie-ricordo, da disinteressarsi completamente delle vicine Nozze di Cana, del Veronese. La Venere di Botticelli, agli Uffizi, utilizzata come quinta di scena da Chiara Ferragni è solo il caso più recente di questa degenerazione della libera fruizione.
Vince il narcisismo, troppo spesso. Riducendo così l’opera d’arte, il capolavoro, ad un trofeo. Contraddicendo quindi la sua natura. Non si ammira più il quadro e la statua. Ci si fa ammirare. L’interesse è spostato su sé stessi. Se c’è una qualche ammirazione nei confronti dell’opera d’arte, essa è funzionale alla evidenziazione di se stessi. Ma può accadere che questo desiderio di esserci, spinga il visitatore a mettere addirittura in pericolo l’integrità dell’opera.
Ed è quello che è accaduto a Possagno. E nel 2018 nella città russa di Yekaterinburg, dove una ragazza mentre cercava di farsi una foto in primo piano davanti ad un quadro di Salvator Dalì, l’ha urtato, facendolo cadere a terra. “Ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo”, cantavano Fedez e J-Ax in un successo dell’estate 2016. Accade proprio questo.
Anche in Luoghi nei quali l’estasi da contemplazione dovrebbe allontanare ogni desiderio di protagonismo. Luoghi nei quali si dovrebbero mettere in tasca il cellulare per concentrarsi su quello che c’è da osservare. Senza pensare ai selfie. Mettendo da parte la frenesia da social, almeno per il tempo della visita.
Tra i cinquanta scatti di Massimo Pacifico, esposti lo scorso ottobre al Museo archeologico di Napoli ce ne è uno che rappresenta una ragazza seduta al centro di una delle sale del Museum der Bildenden Kunste di Lipsia. E’ intenta ad osservare una grande tela. Non fotografa con il suo iphone, ma con gli occhi. Non si avvicina a quel che sta osservando, ma rimane alla distanza consentita. Quella che le può permettere di avere una buona visione dell’opera.
Lo scatto di Pacifico non descrive l’unico modo di guardare un quadro. Ma certo ha colto la modalità più immediata. Quella che avvicina di più, perché elimina qualsiasi intermediazione. Peccato però che l’esercito di quelli che preferiscono i selfie aumenti. Di giorno in giorno. Facendo il male dei luoghi della Cultura.