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Beirut, 157 morti e 5mila feriti. Arrestati 16 funzionari del porto. Onu: “Stanzieremo almeno 9 miliardi di dollari”. Macron vola in Libano.

Il capo dell'Eliseo ha chiesto un'inchiesta indipendente. Ma gran parte dell'opinione pubblica vuole un'indagine internazionale per il timore di scarsa trasparenza da parte dell'esecutivo. Hezbollah, il partito sciita che guida la coalizione, respinge però questa possibilità. L'Italia invia esperti e aiuti sanitari

A due giorni dall’esplosione che ha dilaniato vaste aree di Beirut, si continua a scavare tra le macerie per individuare altri superstiti rimasti intrappolati, mentre nelle corsie degli ospedali al collasso si cerca di salvare la vita a chi ha riportato i danni più gravi. Il bilancio delle vittime continua a salire, con 157 morti accertati e oltre 5mila feriti, secondo l’ultimo aggiornamento fornito dalle autorità. Nel Paese è arrivato il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha promesso vicinanza e aiuto incondizionato alla popolazione, chiedendo però un nuovo patto tra le parti politiche che permetta l’avvio di riforme per far uscire il Libano dalla terribile crisi economica che lo affligge. In serata, 16 funzionari del porto di Beirut sono stati arrestati, secondo quanto annunciato dalla Procura militare libanese, ma sulla possibilità di un’indagine internazionale richiesta da gran parte della popolazione per stabilire le responsabilità del disastro, Hezbollah, il partito sciita che guida la coalizione di governo con a capo Hassan Diab, frena.

Le ricerche dei dispersi continuano senza sosta e i soccorritori parlano di “buone possibilità” di ritrovare persone ancora in vita sotto le macerie: “Stiamo cercando un gruppo di 7 o 8 dispersi che potrebbero essere rimasti intrappolati in una sala operativa sepolta nell’esplosione”, spiega uno di loro.

Intanto le Nazioni Unite stanzieranno almeno 9 miliardi di dollari per aiutare gli ospedali di Beirut nelle operazioni di primo soccorso e per migliorare la capacità di accoglienza, come annunciato dal portavoce Farhan Haq spiegando che i fondi serviranno per le unità di terapia intensiva e forniranno kit di pronto soccorso, ventilatori, medicine e dispositivi medici. Haq ha poi spiegato che le Nazioni Unite stanno facendo una stima dei danni e delle necessità conseguenti all’esplosione e lanceranno un appello per raccogliere i fondi. “Di sicuro, il Libano avrà aiuti sostanziosi, da quelli per il sistema ospedaliero alle scorte di cibo, fino alla copertura dei costi per la ricostruzione a lungo termine”, ha aggiunto.

Ospedali al collasso: paura per la diffusione del coronavirus
Con gli ospedali stracolmi o fuori uso, operatori sanitari che si muovono dalle sale operatorie ai corridoi, fino ai parcheggi dei nosocomi per assistere le migliaia di persone bisognose di cure, oltre alla sorte di chi è rimasto coinvolto nell’esplosione preoccupa la diffusione del coronavirus nella capitale libanese. I test per accertare la positività al virus sono stati bloccati in molte strutture, mentre in molti nosocomi è impossibile prestare le adeguate cure a coloro che presentano i sintomi. “Alcuni ospedali, che effettuavano i test e seguivano i pazienti Covid, come il Saint George e Jeatawi sono stati gravemente danneggiati dall’esplosione e si sono dovuti fermare”, ha detto all’agenzia Dpa Mahmoud Hassoun, medico del Rafiq Hariri Hospital, che invece continua a effettuare i test.

“I test si sono bloccati perché molti ospedali devono fare i conti con questa catastrofe e il gran numero di feriti – ha confermato Suleiman Haroun, a capo del Private Hospitals Syndicate – Ora è questa la priorità”. Ieri, comunque, le autorità sanitarie hanno confermato 355 nuovi casi nelle precedenti 48 ore. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono 5.417 i contagi confermati.

Sul rischio legato invece alla mancanza di approvvigionamenti, vista l’impossibilità di usare il porto cittadino, principale snodo commerciale della capitale, le autorità del porto libanese di Tripoli, città nel nord del Paese, hanno annunciato oggi di essere pronte a farsi carico dei flussi fino ad oggi diretti sulla capitale. “Il porto non può fermarsi”, hanno detto le fonti.

Il governo: “Subito inchiesta indipendente”. Ma in molti chiedono indagine internazionale
Intanto il governo, finito nuovamente nel mirino delle contestazioni già poche ore dopo la deflagrazione, parla di un “crimine efferato di negligenza”, con il ministro degli Esteri, Charbel Wehbé, che ha promesso un’inchiesta indipendente con la creazione di un comitato di inchiesta ad hoc per far luce su quanto accaduto. “Hanno solo quattro giorni al massimo per fornirci un rapporto dettagliato sulla responsabilità, per dirci come, chi, cosa, dove. Su questa base ci saranno decisioni giudiziarie – ha dichiarato alla radio francese Europe 1 – Prendiamo tutto al livello più elevato di serietà. Tutti i ministri hanno insistito, colui che risulterà colpevole di questo crimine efferato di negligenza verrà punito. Ve lo prometto”.

Il ministro degli Interni, Mohamed Fahmi, ha annunciato l’intenzione di dimettersi nel caso in cui la commissione d’inchiesta non individui i responsabili: “Mi dimetterò nel caso in cui la commissione d’inchiesta non indichi in particolare i nomi di tre individui in modo da ritenerli responsabili”, ha detto all’emittente al-Hadath.

Ma da buona parte dell’opinione pubblica e della politica la richiesta è quella di un’indagine internazionale, sostenendo che il coinvolgimento del governo espone a rischi di insabbiamento o mancata trasparenza. Ipotesi però smentita da fonti di Hezbollah, partito che guida la coalizione al potere, che riferiscono di “non aver ricevuto una richiesta formale né informale” in tal senso e ribadiscono comunque che “Hezbollah non accetterà un’indagine internazionale”. L’ex premier Saad Hariri, intanto, ritiene che ci sia un nesso tra l’esplosione di martedì scorso e l’atteso verdetto della corte penale internazionale sull’assassinio di suo padre, Rafiq Hariri, di cui sono accusati in contumacia quattro esponenti del movimento sciita.

Macron in visita a Beirut: “Aiutare la popolazione, ma poi servono riforme”
Atterrato in mattinata all’aeroporto della capitale libanese, il presidente francese si è subito diretto nella zona del porto per vedere con i propri occhi i danni provocati dall’esplosione e parlare con i soccorritori, dopo aver già inviato una squadra di specialisti e un’unità medica mobile. A riceverlo c’era il presidente libanese Michel Aoun. “Il Libano non è solo”, ha scritto su Twitter il capo dell’Eliseo. “Voglio organizzare la cooperazione europea e più ampiamente la cooperazione internazionale”, ha poi dichiarato al suo arrivo in aeroporto.

Il presidente francese ha ribadito che “oggi la priorità è l’aiuto, il sostegno alla popolazione senza condizioni”, ma che per evitare che il Paese “continui ad affondare” e possa tornare a crescere saranno necessarie “riforme”: “Un’esigenza che la Francia manifesta da mesi, da anni, quella di riforme indispensabili in alcuni settori”, ha insistito sulla necessità di un “dialogo di verità” con i vertici libanesi “perché al di là dell’esplosione sappiamo che la crisi è grave”.

Una richiesta accolta dalla folla che già nei giorni scorsi è scesa per le strade distrutte, qualcuno per protestare contro l’esecutivo e altri per difenderne l’operato. Manifestazioni che hanno portato anche a scontri tra le diverse fazioni. Le richieste gridate al presidente Macron sono quelle di un aiuto a rovesciare il governo: “Aiutateci! Rivoluzione!”, hanno gridato contro il presidente Aoun e il governo Diab, accusati di corruzione e mala gestione.

Macron, da parte sua, ha assicurato che proporrà un “nuovo patto” politico ai leader del Libano nell’incontro che avrà oggi con le autorità del Paese: “Sono qui anche per lanciare una nuova iniziativa politica – ha continuato – È quello che voglio esprimere nel pomeriggio ai dirigenti e alle forze politiche libanesi. Procedere con le riforme, cambiare il sistema, fermare la divisione del Libano, lottare contro la corruzione“.

Al termine dell’incontro il capo dell’Eliseo ha detto di aver “sentito la rabbia del popolo libanese”, chiedendo, anche lui, “un’inchiesta trasparente e rapida”.

Aiuti dall’Italia: 14 esperti dei Vigili del Fuoco e materiale sanitario
Anche l’Italia cerca di fare la sua parte nel sostegno alla popolazione beirutina. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avuto oggi una conversazione telefonica con il primo ministro libanese Diab in cui ha espresso la solidarietà del governo italiano. Gli aiuti sono già partiti: è atterrato alle 5 (ora locale) il team di 14 esperti dei Vigili del Fuoco partito nella tarda serata di ieri dall’aeroporto militare di Pisa, nell’ambito del Meccanismo europeo di protezione civile. I tecnici del Corpo nazionale assicureranno supporto tecnico sul fronte del rischio chimico.

Inoltre, come annunciato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, “stamattina è partito dalla Base di pronto intervento umanitario delle Nazioni Unite di Brindisi un volo umanitario diretto a Beirut con un carico di circa 8,5 tonnellate di materiale sanitario messo a disposizione dalla Cooperazione Italiana. L’Italia è al fianco del Libano”.

Anche la Commissione europea ha mobilitato 33 milioni di euro per il Libano, destinati a coprire le spese emergenziali, sostegno medico e attrezzature e protezione delle infrastrutture critiche, come annunciato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, in una conversazione con il premier libanese.