Un cargo sommerso dai debiti, impossibilitato per ragioni economiche a passare il canale di Suez per la consegna in Mozambico, con una ciurma appena sostituita dopo un ammutinamento e con un piccolo buco al lato che costringeva a pompare continuamente l’acqua fuori: la storia di Rhosus, la nave a cui venne sequestrato il carico di nitrato d’ammonio che ha cambiato per sempre la storia di Beirut, è complessa e per raccontarla si deve tornare indietro di sette anni.
La catena di eventi che ha provocato la morte di oltre 150 persone ha inizio il 23 settembre del 2013. Quel giorno la nave Rhosus, battente bandiera della Moldavia e di proprietà di un uomo d’affari russo, Igor Grechushkin, residente a Cipro, salpa dal porto di Batumi, sul Mar Nero, in Georgia. A bordo ha un carico di 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio acquistate dalla Banca internazionale del Mozambico per conto della Fábrica de Explosivos de Moçambique, secondo quanto ha ricostruito il New York Times.
Con destinazione il porto africano di Beira, il viaggio di Rhodus viene bloccato in Turchia poco dopo la partenza: la ciurma, esasperata per i pagamenti che tardano ad arrivare, decide di ammutinarsi, così da lasciare il cargo e il carico annesso senza qualcuno che possa trasportarlo. L’armatore, allora, contatta il russo Boris Prokoshev, oggi 70enne pensionato ma all’epoca capitano di navi, che accetta l’incarico e prende il controllo della nuova ciurma formata da marinai esperti d’origine ucraina. Grazie a questo cambio la Rhosus riprende la consegna, direzione Mozambico, ma poco dopo è costretta a fermarsi di nuovo. Grechushkin, infatti, comunica al capitano di non avere abbastanza soldi per pagare il passaggio nel canale di Suez e propone di fermarsi a Beirut, in Libano, sperando di poter concludere un affare per il trasporto supplementare di macchinari pesanti così da aumentare la capitalizzazione e riprendere il viaggio.
Arrivati a Beirut, però, le autorità libanesi riscontrano troppe irregolarità sulla nave e il progetto dell’armatore russo svanisce: il cargo, vecchio di quasi 30 anni, non era adatto per quel carico, inoltre la Rhosus non era in grado di prendere il mare per problemi tecnici e il suo proprietario ancora non vuole pagare le tasse di attracco al porto. Intrappolato in una disputa finanziaria e diplomatica, l’armatore russo decide di abbandonare il cargo. Il suo carico di nitrato di ammonio viene trasferito nell’hangar 12 di un magazzino portuale di Beirut, dove rimarrà fino a martedì scorso, giorno dell’esplosione.
Al problema della disposizione del carico, si aggiunge la tragedia dell’equipaggio, lasciato da solo dal suo stesso datore di lavoro. Il capitano Prokoshev, disperato per la mancanza di soldi, decide di vendere parte del carburante per assumere una squadra legale, cercando di uscire dalla situazione in cui si era ritrovato, ovvero costretto a rimanere a bordo della nave in attesa che il suo armatore pagasse i soldi delle multe. Intanto passa un anno e nell’agosto del 2014 un giudice libanese permette a una parte dell’equipaggio di tornare a casa, mentre costringe il capitano e quattro membri della ciurma a rimanere a bordo del cargo fino al pagamento del debito. Nel racconto che fa al New York Times, il capitano ricorda di come i funzionari portuali libanesi abbiano avuto pietà per l’equipaggio affamato e di come abbiano offerto loro del cibo, ma poco ricorda della preoccupazione per il carico altamente esplosivo appena arrivato nel porto.
Intanto, quando i fornitori cercano di contattare l’armatore, il russo non si fa più trovare. “In seguito all’ispezione della nave da parte del Port State Control – si legge in una nota postata online da Baroudi & Associates, uno studio legale libanese che, per conto di ‘diversi’ creditori non meglio identificati aveva ottenuto un ordine per far fermare il cargo – al mezzo era stato vietato di proseguire la navigazione. La maggior parte dell’equipaggio, a parte il capitano e quattro marinai, era stato rimpatriato e subito dopo la nave era stata abbandonata dai suoi armatori“. Lasciata la nave, iniziò la vicenda legata alla merce pericolosa immagazzinata nell’hangar 12 del porto di Beirut. Tante le proposte di smistamento, vendita e le richieste di audizione presso una corte per decidere la sua destinazione da parte delle autorità portuali. Nessuna risposta, però, è mai giunta da chi di competenza. Poi, martedì, l’esplosione.