Due conti correnti svizzeri (uno si chiamava ‘Mago Merlino’) e un immobile di lusso nelle vicinanze dell’Arco della Pace, a Milano, per un valore complessivo di 3 milioni di euro. Sono i beni sequestrati dalla divisione Anticrimine della Questura di Milano e dalla Guardia di finanza milanese a Barbara Sabadini, avvocatessa del foro di Milano – arrestata nel 2016 e condannata nel 2018 con l’accusa di aver riciclato su conti correnti elvetici i soldi del boss di camorra Vincenzo Guida – e al convivente, pluricondannato per reati societari e tributari. Quei beni secondo l’accusa sarebbero stati acquistati con denaro di provenienza illecita e non riconducibile al loro lavoro. Il sequestro è stato proposto dal procuratore distrettuale antimafia e da questore di Milano.

L’avvocatessa, per gli inquirenti, sarebbe stata il procuratore delegato a operare su un conto corrente aperto a Lugano, in Svizzera, nel giugno 2004 – “Ostrica” – su cui sarebbero confluiti i soldi. Conto poi chiuso nel 2015 e che sarebbe stato formalmente intestato a un parente del boss. Secondo l’accusa, da quel conto svizzero (spostato in diverse filiali dello stesso istituto di credito elvetico), il denaro, grazie alle disposizioni dell’avvocato, sarebbe ritornato in contanti a Milano. L’indagine sull’avvocatessa era un filone di quella con al centro una presunta banca parallela della camorra messa in piedi da Guida, promotore di un sodalizio criminale strettamente collegato alla nuova famiglia della camorra napoletana. In passato è stato arrestato e condannato per aver realizzato a Milano un giro di usura su larga scala.

Se alla Sabadini sono stati sequestrati due conte, il sequestro dell’immobile ha invece riguardato il compagno, G.R., anche lui oggetto di numerose indagini di polizia giudiziaria e condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta e reati tributari. L’uomo viene descritto come specializzato nel trarre ingenti guadagni pilotando i fallimenti delle proprie società, che emettevano fatture per operazioni inesistenti e omettevano il versamento degli oneri contributivi e fiscali, anche mediante indebite compensazioni con fittizi crediti d’imposta. In questo modo G.R. e i suoi complici avevano realizzato un complesso sistema fraudolento, che prevedeva l’avvicendarsi di più società e l’intestazione delle relative quote a prestanome senza fissa dimora o extracomunitari per ostacolare qualsiasi iniziativa dell’amministrazione finanziaria.

Le indagini patrimoniali svolte dalla divisione Anticrimine e dal gruppo della Gdf hanno rivelato gli ingenti profitti illeciti dei conviventi, grazie ai quali i due potevano tenere uno stile di vita del tutto sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati. Secondo gli inquirenti i beni sequestrati sarebbero stati acquistati con denaro di provenienza illecita: starà ai due protagonisti dimostrare il contrario e, se ciò non accadrà, i provvedimenti andranno a consolidarsi in una confisca antimafia e i beni sequestrati saranno destinati alla collettività.

In precedenza, B.S. era stata coinvolta nell’operazione ‘Liotro’ della Dda di Milano, relativa all’omicidio del pregiudicato Salvatore Forciniti del 1992, perché accusata di aver ‘preparato’ la deposizione di un testimone. Sempre a seguito di quella operazione, l’avvocatessa è stata indagata per associazione di tipo mafioso, venendo accusata di aver svolto il ruolo di intermediario negli affari del clan Guida relativi all’acquisizione di alcuni locali del milanese. Successivamente è stata denunciata anche per corruzione in atti giudiziari, per aver esercitato pressioni su un parlamentare affinché intervenisse sui giudici chiamati a decidere in merito alla colpevolezza di Guida. I giudizi, pur terminati con l’assoluzione per insufficienza di prove, per gli inquirenti hanno comunque evidenziato la “pericolosità sociale” della professionista, nonché i legami, personali e professionali, con Guida e con il suo sodalizio criminale. Oggi su di lei pende anche un altro procedimento penale per un reato di falso in relazione a un atto di compravendita immobiliare, con il quale la donna avrebbe tentato di giustificare le giacenze presenti sui conti correnti elvetici utilizzati per riciclare il denaro del clan.

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