Alcuni giorni fa ho visto con molto piacere una diretta di Marco Montemagno con Edoardo Bennato, che vi consiglio di cercare in rete. Devo dire che seguo sempre con interesse Montemagno, soprattutto nelle interviste, che in genere durano un’oretta e spaziano su tutti gli argomenti. Invita ospiti che si occupano di ambiti estremamente differenti e vari, e lui si pone con dinamica curiosità, anche quando una particolare disciplina gli è del tutto oscura.

Anzi, spesso quelle sono le interviste migliori. Dell’intervista a Bennato mi hanno colpito però in particolare le parole del cantautore, che ha parlato molto del suo libro Girogirotondo. Codex latitudinis, edito da poco da Baldini+Castoldi. Non solo mi ha colpito, ma addirittura affascinato. E vi spiego il perché.

Mi piacciono i libri scritti dai cantautori quando riescono a evidenziare l’aderenza tra le canzoni e la pagina in prosa; si riesce a comprendere meglio la poetica dell’autore, il che non è poca cosa se si ha a che fare con chi, come Bennato, rappresenta la storia della musica italiana: storia viva e presente, visto che l’ultimo disco, Pronti a salpare – che contiene la canzone da cui è tratto il titolo del libro – è un’opera di estrema bellezza.

Da artista che ha cominciato a pubblicare dischi nel pieno della stagione aurea dei cantautori, Bennato ha portato in Italia l’attitudine del punk prima ancora che lo stesso punk nascesse in Inghilterra. Negli anni Settanta italiani due nomi svettano su tutti gli altri per ciò che riguarda l’unione tra rock e canzone d’autore: Ivan Graziani ed Edoardo Bennato.

Entrambi pubblicano il primo disco nel 1973 e, insieme, riescono a rappresentare tutte le potenzialità grammaticali di un genere, calibrato su un unico cantautore: tra l’immediatezza caustica di Bennato e l’art-rock virtuoso di Graziani, in mezzo c’era già tutto quello che sarebbe venuto di interessante in Italia nei successivi cinquant’anni.

Negli anni, Edoardo Bennato è stato capace di sviluppare una poetica poderosa, che si basa sullo sberleffo e sull’ironia verso il potere come formidabile arma di rovesciamento delle convenzioni e degli stereotipi. Etimologicamente divertente, sempre contro il vittimismo, lo stile di Bennato ha degli elementi fissi e ben precisi, che ne scandiscono la coerenza di scrittura: su tutti, la metafora della fiaba e l’esaltazione della purezza e innocenza rivoluzionaria di bambini e adolescenti.

Alcuni anni fa scrissi un saggio dal titolo La Terra vista dalla fiaba. È così che vedo le canzoni di Bennato: un continuo e visionario senso di stravolgimento del reale, che esalta la percezione adolescente perché non corrotta dalla realtà.

Questo aspetto della sua poetica lo troviamo anche nel libro Girogirotondo. Codex latitudinis. Il cantautore divide il volume in tre parti. Nella terza dialoga con “Koso”, un pupazzetto disegnato da sua figlia quand’era bambina, un alieno che la sa lunga sulle cose della Terra, perché sfrutta il suo punto di vista privilegiato.

Le prime due parti servono per dare al lettore il senso di evoluzione, di percorso: Bennato lì racconta la propria esperienza autobiografica per prepararci al concetto di necessità che aguzza l’ingegno, per preparare la predisposizione a ragionare sul codice latitudinale, che è un modo di pensare che si pone come antidoto al razzismo, perché divide la famiglia umana – unica “razza” esistente – in due parti: quella adulta e quella bambina.

Nel libro, Bennato a tutto questo arriva per gradi. Nelle canzoni non è necessario, perché lì il cantautore lo fa naturalmente, è la sua cifra stilistica, il marchio di fabbrica. Lo schema è lo stesso dell’album Pronti a salpare. Più in generale, è lo stesso di tutte le sue canzoni: tutto è possibile, la realtà è capovolta per comprendere il nervo scoperto del mondo, le convenzioni che ci annebbiano la mente e non ci fanno trovare la soluzione ai problemi, che spesso è più vicina di quando si possa pensare.

La Terra, nelle canzoni di Bennato, è una fiaba perenne, sempre capovolta perché sono la sua voce, la musica, la modulazione, il canto a dettare le regole del gioco e portare l’ascolto fuori dal tempo. Quando scrivi in prosa, invece, la realtà ti pone di fronte uno schermo d’illusione, e spesso solo i bambini sanno decrittarlo, per riformulare l’essenziale.

Edoardo Bennato è un artista gigante. Oggi va ascoltato più che mai, per recuperare uno spirito critico che sembra sopito sotto una coltre di omologazione generale, dopo quarant’anni di berlusconismo – vero, imitativo e di ritorno – che ha posto le basi per un tragico acquietamento di pensiero. In questo senso, un libro come Girogirotondo riesce certamente a spiegare in maniera riflessiva l’opera di uno dei più grandi artisti che la nostra musica abbia mai avuto. In attesa del prossimo disco che pare ce lo restituisca, ancora una volta, in gran forma.

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