REPORTAGE - Infermieri stravolti che non possono nemmeno mettere i punti per suturare le ferite. Ospedali saturi e a corto di sangue. Sono 5mila le persone ferite dall'esplosione nella capitale libanese, che cercano di farsi curare facendo rotta verso Tripoli, seconda città del Paese. Perché a Beirut non c'è più posto
A Beirut crudeli, inquietanti, beffardi paradossi accompagnano l’emergenza sanitaria dopo la tremenda esplosione in un deposito di nitrato d’ammonio situato nel porto di Beirut. I morti sono finora oltre 130 ma sono almeno il doppio le persone disperse. Oltre 5000 i feriti.
Diverse strutture – tra cui quella di Clemenceau e l’American University Hospital – hanno bisogno urgente di donatori di sangue. Già dalla tarda serata di martedì la situazione si è rivelata critica: tutti gli ospedali della capitale hanno raggiunto in poco tempo la saturazione, tanto da spingere centinaia di persone a fare rotta verso Tripoli, seconda città del Paese, nonché la più colpita dalla crisi economica. Proprio qui però poche settimane fa il piccolo Walid Al Manna, 2 anni, è morto dopo essere stato rifiutato da tutti gli ospedali locali, per mancanza di posti letto e di risorse. Una città in forte sofferenza, con circa il 60% di disoccupazione.
A Beirut est, particolarmente colpite le due strutture di Geitawi, un quartiere che sovrasta quello semi distrutto di Mar Mikhail. L’ospedale Saint George è stato evacuato martedì in tarda nottata. “Gran parte del lavoro che abbiamo fatto è stato trasportare i pazienti altrove, con l’aiuto della Croce rossa libanese, perché in pochissime ore abbiamo ricevuto circa 700 feriti, che hanno dovuto fare il triage nel parcheggio, alcuni anche delle operazioni delicate”, spiega Nour, una giovane infermiera che con la chiusura dell’ospedale è stata trasferita in un’altra struttura a nord della capitale. “Non c’è più l’ospedale Saint George, l’esplosione ha distrutto tutto all’interno”, continua. Il Saint George era un centro sanitario di ottimo livello, nel quale venivano anche effettuati tamponi per il covid all’esterno, attraverso la modalità “drive through” (rimanendo in macchina). In seguito alla detonazione, avvenuta ad una distanza di due chilometri, sono morte quattro infermiere, investite dall’esplosione dei vetri dell’ospedale.
Le scene che si vedono nell’altro ospedale di Geitawi – il Saint Marc – sono estranianti: un ragazzo arriva con un taglio profondissimo sul viso e una gamba probabilmente rotta ma gli infermieri si scusano, quasi in lacrime: “Non possiamo nemmeno metterti i punti amico mio, non ne abbiamo, devi cercare di resistere, inshallah“. Decine di pazienti gravi, ma meno gravi di quelli a rischio di morte immediata, sono stati dimessi, oppure trattati direttamente sulle ambulanze della Croce rossa libanese. Sarah si trovava nel centro commerciale ABC – circa due chilometri dall’esplosione in linea d’aria – quando una vetrina le è crollata addosso, quasi amputandole un braccio. Anche a lei, una volta arrivata all’ospedale Saint George, è stato impedito il ricovero, ed è stata dirottata all’ospedale al Middle East Hospital di Bsalim, a nord della capitale.
Gravemente danneggiato ed in seguito evacuato anche l’ospedale al Wardieh, a Gemmayze, e soprattutto quello di Karantina, il più vicino alla detonazione. La Croce rossa fa sapere anche che tutte le ambulanze in dotazione e normalmente impegnate nella Beqaa, nella regione settentrionale dell’Akkar, del Nord del Libano e del sud del Libano sono state messe a disposizione nell’area di Beirut.
Danneggiato in modo minore l’ospedale Rizk, sempre nella parte orientale della città. “Qui sono arrivati circa 420 feriti”, spiega Asma, infermiera di mezza età, stravolta da una notte senza sonno né pace. “Ci siamo divisi i compiti, metà degli infermieri si è occupato di curare i feriti più gravi e l’altra metà di ripulire la struttura dalle macerie. Siamo disperati, aiutateci“.
Foto di Lorenzo Forlani