Calcio

Josip Ilicic, cosa gli consiglierei se fossi il suo mental coach

Minuto ’58 di Juventus-Atalanta.

Sul risultato di 1-1, Gian Piero Gasperini sostituisce Josip Ilicic con Mario Pasalic. Quella è l’ultima volta che vedremo lo sloveno su un campo da gioco. Da allora è passato quasi un mese e dell’ex Palermo e Fiorentina si sa poco e nulla. Lo staff tecnico dell’Atalanta parla di “motivi personali” che lo hanno costretto a tornare in patria. I compagni gli dedicano le vittorie, l’allenatore lo aspetta a braccia aperte, i tifosi gli scrivono sui social parole di conforto. Lui, da sempre descritto come riservato e sensibile, si prende del tempo.

Non è la prima volta che la sua fragilità viene fuori. La sua infanzia è stata segnata dalla morte del padre, bosniaco di origine croata, ucciso quando lui aveva sette mesi. Le condizioni economiche difficili che ne sono derivate hanno costretto la sua famiglia a scappare in Slovenia durante la guerra. Nel 2018 un’infezione ai linfonodi del collo lo ha costretto per lungo tempo in ospedale. Una storia emersa solo in seguito, più precisamente durante il minuto di silenzio dedicato alla morte di Davide Astori. Lui piange e a fine gara confessa: “Quello che è successo ad Astori mi è rimasto in testa per giorni. Non riuscivo più a dormire perché ci pensavo sempre. E quando sono stato male ho pensato davvero che potesse capitare anche a me”.

A minare la sua fragilità emotiva ci ha pensato poi il lockdown nella sua Bergamo, una delle città più colpite dalla pandemia. Il suo agente Amir Ruznic ha rivelato che le misure di contenimento lo hanno provato al punto da alimentare sintomi depressivi a lui non nuovi. Per ora lui resta in Slovenia.

La data del suo ritorno non è dato saperla. Quello che so invece è che il caso di Ilicic è quello di un uomo, prima che di un professionista, che ha vissuto un’esperienza negativa. Non sappiamo esattamente di cosa si tratti, tantomeno se faccia riferimento a un evento recente o passato. Quello che sappiamo è che è più attuale che mai nella sua testa. Si tratta di una situazione oggettivamente ostile, che ha spinto il giocatore a focalizzarsi, per via della sua gravità, sempre di più su questo aspetto.

Ilicic è rimasto quindi intrappolato in un pensiero negativo, che ha inizio con un episodio, continua con un pensiero e, lavorando il cervello per immagini, diventa la sua realtà, proiettata nel futuro e che non lascia intravedere vie d’uscita. È un processo mentale che può coinvolgere tutte le persone che nella vita si trovano ad affrontare una situazione negativa.

Quello che, però, difficilmente si riesce a comprendere in questi momenti è che da una condizione simile si può uscire. Come? Ripercorrendo i tre passaggi menzionati precedentemente, ma al contrario. Questi sono i miei consigli.

#1 La situazione negativa è oggettiva e su questo c’è poco da dire. Ma la mia vita non è solo quell’episodio: ci sono tantissime altre situazioni positive che mi hanno portato ad essere quello che sono oggi.

#2 Mi focalizzo su queste.

#3 Razionalizzo la cosa e penso al futuro: se c’è una soluzione mi concentro su questa, se non c’è cerco di andare oltre, evitando di restare focalizzato su una situazione che non ha una risoluzione.

È più o meno la stessa cosa che bisogna fare quando si rimane vittime di un infortunio: una volta metabolizzato lo stop e tutto quello che ne consegue, inizio a pensare a come starò una volta tornato in campo. Il mio pensiero deve sempre andare alle cose positive. Passate, presenti e soprattutto future, solo così potremo raggiungere gli obiettivi prefissati e realizzare tutti i nostri sogni.