di Maurizio Becchia

Leggo sul Fatto di qualche giorno fa che l’India (terzo paese al mondo per emissioni di CO2) sta varando una nuova norma sull’impatto ambientale “destinata a favorire la ripresa dell’economia indiana, devastata dalla pandemia, introduce numerose modifiche tecniche al precedente testo del 2006… In altre parole, per gli industriali sarà più conveniente inquinare: a una centrale a carbone costerà meno pagare la multa per tutto l’anno che installare i costosi filtri che permettono di ridurre le emissioni di CO2″.

Cina, Usa ed India hanno il non invidiabile primato delle emissioni di CO2 nel mondo: 17.5 miliardi di tonnellate, circa il 45% del totale mondiale. Che impatto può avere una politica green dell’Italia o dell’Unione europea (ammesso che poi tutti i paesi membri si impegnino realmente) che pesa per un 14,5% delle emissioni totali? Scarso, scarsissimo, addirittura deleterio se pensiamo che i più grandi inquinatori avranno ancora più possibilità di produrre a basso prezzo rispetto a noi inquinando maggiormente e mettendoci in ginocchio definitivamente; le nostre manifatture spariranno gradatamente e dipenderemo sempre più dai manufatti di grandi inquinatori.

Noi intanto cerchiamo di fare la differenziata, giriamo in monopattino elettrico, investiamo in pannelli solari o auto ibride con alcun risultato apprezzabile, visto che l’impatto ambientale dei fabbricanti sarà sempre più devastante e a subire le conseguenze di questo cambio climatico saremo soprattutto noi. Avremo l’ultimo modello di smartphone per chiamare i pompieri mentre annegheremo in qualche sottopasso o saremo sepolti dal fango di una frana, o saremo trascinati in mare da qualche onda anomala. Bel progresso.

Eppure due soluzioni ci sarebbero: la prima è quella di applicare una tassa sui prodotti che vengono importati in barba al protocollo di Kyoto. Vuoi inquinare ? Liberissimo di farlo, ma visto che anch’io ne subisco le conseguenze e devo riparare i danni causati anche dal tuo comportamento poco virtuoso, paghi la tua parte.

La seconda soluzione da applicare insieme alla prima è quella di sfruttare il Biochar. Il biochar è carbone vegetale che si ottiene dalla pirolisi di diversi tipi di biomassa vegetale, con un contenuto di carbonio fino al 90% e la cui struttura compatta lo rende non degradabile dai microrganismi del suolo, pertanto è in grado di stoccare carbonio invece che farlo tornare all’atmosfera sotto forma di CO2. Inoltre ha effetti positivi sulla fertilità del terreno, permette di risparmiare acqua, ha capacità di assorbire e trattenere inquinanti persistenti e cancerogeni, può essere utilizzato anche per la produzione di compost.

Una tonnellata di biochar miscelata al suolo equivale a 3,5 tonnellate di CO2 sequestrate permanentemente dall’atmosfera (l’equivalente dell’assorbimento di CO2 di un bosco adulto di 10.000 mq in un anno). Sul web si possono trovare molte informazioni sul Biochar, che è anche stato “sponsorizzato” da Al Gore, 45esimo vice presidente degli Stati Uniti.

Applicare la tecnologia del biochar unitamente alla certificazione tramite blockchain dell’area ammendata sarebbe un primo passo verso la riduzione effettiva delle emissioni o quanto meno del contrasto alle emissioni e all’aumento della temperatura globale. Eppure non se ne parla. Uno dei misteri di oggi.

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