Le due bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti nel 1945 sul Giappone, a Hiroshima il 6 agosto e a Nagasaki tre giorni dopo, sono state il più grande crimine contro l’umanità. L’esplosione di questi due ordigni generò in pochi secondi un’onda d’urto che rase al suolo le città per un raggio di almeno due chilometri, uccidendo all’istante decine di migliaia di persone. In seguito, altre migliaia passarono dalla vita alla morte tra atroci sofferenze.
Sebbene non sia ancora possibile ricostruire con precisione il numero di vittime, le stime parlano di una cifra compresa tra i 150.000 e i 200.000 morti e più di 150.000 feriti. I sopravvissuti, senza più la città intorno, senza alcuna consapevolezza di ciò che stava accadendo (non esistevano immagini di esplosioni atomiche), senza punti di riferimento, in un caldo torrido e colpiti da una fitta pioggia radioattiva nera, vagarono senza meta. A Hiroshima molti, sperando di fermare le terribili ustioni, si gettarono nel fiume che però in alcuni punti ribolliva e ben presto si riempì di cadaveri che galleggiavano.
Quello delle armi atomiche è un argomento sottostimato dalla politica e poco dibattuto nell’opinione pubblica. Purtroppo solo in questi giorni, con il drammatico anniversario di questa tragedia, si tratta tale questione. Temo che, senza un percorso costante di informazione, questi anniversari rappresentino vuoti simulacri, un ricordo, declassati a un pericolo lontano del passato che non si può declinare nella nostra realtà. Credo che questo sia un errore grossolano, perché le migliaia di armi atomiche oggi presenti nel pianeta, parliamo di circa 14.000 ordigni, rappresentano il più grande pericolo per l’umanità. Soprattutto se pensiamo che le bombe di Hiroshima e Nagasaki erano 40 volte meno potenti degli ordigni di oggi.
Ho letto con interesse sul Fatto Quotidiano l’intervista di Stefania Maurizi a Hans Kristensen della Federation of American Scientists. Il quadro, a pochi noto, è raccapricciante. Si pensi alla somma astronomica spesa (secondo Kristensen soltanto gli Usa hanno speso ad oggi 5.800 miliardi in armi nucleari) per ordigni devastanti, in grado di distruggere il pianeta più e più volte. Una somma di cui soltanto una minima parte sarebbe sufficiente per risolvere problemi come la fame nel mondo, i cambiamenti climatici e difenderci da presenti e nuove pandemie.
Kristensen ha stimato che anche sul nostro territorio nazionale ci sono almeno 40 armi nucleari statunitensi (20 a Ghedi e altre 20 ad Aviano) e altrettante probabilmente ne arriveranno presto dai depositi americani in Germania.
La domanda da porsi oggi nel nostro Paese, al di là delle celebrazioni e del ricordo dei fatti accaduti in Giappone, è: oggi, dopo oltre 30 anni dalla caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, chi e quale Paese mette in pericolo la nostra sicurezza tanto da dover avere sul territorio decine di armi atomiche? La loro presenza non può, paradossalmente, rendere il nostro Paese maggiormente a rischio per eventuale esplosione accidentale o un potenziale bersaglio in caso di guerra?
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto sottolineare come quando accadde alle due città giapponesi sia “un monito costante a mantenere e sviluppare ulteriormente quel sistema di istituzioni ed accordi, con le Nazioni Unite al centro, creato dopo la Seconda Guerra Mondiale per garantire a tutti pace e sicurezza durature”, aggiungendo che “l’architettura internazionale per il disarmo e la non proliferazione è una componente importantissima di tale sistema e ogni sua violazione rappresenta un passo verso l’olocausto nucleare”.
Credo che, dato le vigenti priorità e l’attuale scenario geopolitico, i tempi siano maturi per ripensare la nostra politica sulle armi nucleari e chiedere che l’Italia firmi il Trattato delle Nazioni Unite per la Proibizione delle Armi Nucleari approvato a New York il 7 luglio 2017. In tale senso ho presentato una mozione al Senato per chiedere al governo di sottoscrivere tale trattato. Essendo membri della Nato, aderiamo all’accordo di Nuclear Sharing che prevede la dislocazioni di armi atomiche americane sul nostro territorio, tuttavia un segnale politico 70 anni dopo la prima esplosione atomica credo sia indispensabile specie per un Paese che ha redatto una Costituzione in cui all’articolo 11 si sancisce che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.