È “Da qui in poi: ritrovarsi dopo l’emergenza Covid-19”, un progetto ideato dall’associazione codognese Il Samaritano che dal 1988 è specializzata nell'assistenza ai malati oncologici. Per i partecipanti l’intero percorso sarà gratuito: si parte con un colloquio personale con lo psicologo, di carattere conoscitivo. E poi si procederà con le sedute di gruppo
Qui, nel Basso Lodigiano siamo stati i primi (in Italia, in Europa e nel mondo secondi solo alla Cina) ad essere travolti dal Coronavirus. L’ansia, la paura, il dolore. I morti. Le persone chiuse in casa; le incessanti sirene delle ambulanze, tutte le notti; le bare che in ospedale non sapevano più dove metterle. Davvero c’è chi ha già dimenticato?
Qualcuno è riuscito a superare tutto e già crede di essere tornato a una vita “normale”: tanti altri proprio no. Soprattutto chi, in quei devastanti mesi, ha perso un congiunto. Ed è per aiutare queste persone che nasce a Codogno, nell’epicentro del Coronavirus, “Da qui in poi: ritrovarsi dopo l’emergenza Covid-19”. Si tratta di un gruppo di accompagnamento nell’elaborazione del lutto dedicato ai familiari dei pazienti deceduti a causa del Covid-19, residenti in tutti i comuni della “ex zona rossa” del Lodigiano. Un progetto ideato dall’associazione codognese Il Samaritano, una Onlus operante sul territorio dal 1988 e specializzata, in particolare, nell’assistenza ai malati oncologici.
“L’idea del progetto è maturata nel tempo, in particolare da quando hanno iniziato a circolare i dati sui decessi da Coronavirus – spiega Annalisa Burgazzi, psicologa del Samaritano -. E poi ascoltando le storie di chi era venuto a mancare. I temi del lutto e dell’accompagnamento sono molto sentiti dal Samaritano, ci siamo quindi chiesti se gli strumenti di cui già disponevamo nella nostra esperienza potessero essere messi a servizio in questa nuova situazione. Siamo passati a concretizzare il tutto quando è stato possibile riprendere alcune attività”.
Per i partecipanti l’intero percorso sarà gratuito: si parte con un colloquio personale con lo psicologo, di carattere conoscitivo. E poi si procederà con le sedute di gruppo. Sì, tutti insieme, perché quello che ha contraddistinto la morte da Coronavirus è stata la solitudine: non solo di chi è stato ricoverato, che non ha più avuto contatti con i propri cari fino al momento della morte. Ma anche di chi è rimasto a casa, impotente, senza poter rivedere un’ultima volta il proprio congiunto. Da solo anche dopo, con la quarantena che obbligava a stare in casa, con la socialità praticamente azzerata per arginare la pandemia.
“La forza del gruppo è la possibilità di condividere una storia – continua la psicologa del Samaritano -. Le persone che hanno chiamato per partecipare hanno effettivamente richiesto la possibilità di stare in gruppo anche per andare oltre il senso di isolamento che ancora si percepisce nelle nostre vite”.
Le storie di chi parteciperà a questi incontri, che partiranno a settembre, sono molto simili. I primi sintomi in famiglia, il peggioramento dei propri coniugi o dei propri genitori, saliti sull’ambulanza con le proprie gambe: mai avrebbero immaginato che non sarebbero più tornati. Persone che hanno affrontato lunghissime giornate, convivendo in alcuni casi con il senso di colpa per il timore di essere stati proprio loro a trasmettere il virus, e aspettando quell’unico contatto possibile, la telefonata dall’ospedale, per sapere come stava il proprio caro. Fino alla notizia più dolorosa. Al momento hanno aderito al progetto del Samaritano una decina di persone. Qualcuno ha perso anche più di un parente.
Per elaborare questo lutto inaspettato e vissuto in un clima di emergenza generale in cui tutte le nostre certezze e i nostri “sostegni” sociali sono stati spazzati via, saranno messi a disposizione dei “pazienti”, oltre alle sedute collettive con lo psicologo, dei metodi molto utilizzati nell’ambito delle cure palliative in oncologia e hospice: terapia del colore e musicoterapia. L’obiettivo di entrambi questi metodi è utilizzare linguaggi alternativi a quello verbale per comunicare.
“Utilizzo questa tecnica in ospedale da 12 anni – racconta Giuseppina “Mela” Andena, che insegna tecniche pittoriche nel suo studio privato – sei anni fa la terapia del colore è diventata un metodo perché è stata pubblicata su una rivista scientifica. Fa parte dell’arteterapia e il percorso va modellato su ogni paziente. Consiste nel dipingere un quadro con un dito, e in base alla persona che ho davanti decido per esempio quali colori mettere a disposizione o quanto deve essere grande la tela su cui lavorare: devo saper dosare le quantità per non far sentire a disagio la persona”. Anche Mela lavora prevalentemente con pazienti oncologici. Ora cercherà di portare sollievo con il suo metodo a chi ha subito un lutto a causa del Coronavirus.
“Con questo tipo di terapia si usa il colore come non si è mai fatto – continua, specificando che non si tratta della cromoterapia a cui è spesso erroneamente associata – si è costretti a far nascere un’opera dal proprio dito e ciò che si produce è un regalo che si fa a se stessi e anche a chi non c’è più. Ho già lavorato con una coppia che ha perso un caro amico per il Coronavirus: moglie e marito, hanno fatto insieme una cosa che senza quella tragedia non avrebbero mai fatto. Hanno poi distribuito le loro opere agli altri loro amici ed è stato un modo diverso per ricordare l’amico scomparso”.
“Non c’è una ricetta che vada bene per tutti, la musica però aiuta a prendere contatto con le emozioni che si fanno fatica ad esprimere a parole e ognuno lo fa in modo diverso dagli altri – aggiunge Simone Majocchi, musicoterapista che lavora con pazienti di oncologia e hospice, ma anche con disabili e persone in stato vegetativo – in queste sedute di gruppo faremo sia musicoterapia ricettiva, che si basa sull’ascolto, che musicoterapia attiva, con un coinvolgimento più diretto della persona per creare musica. Si utilizzeranno degli strumenti musicali, tipologie che non inibiscano chi non sa suonare, come albero della pioggia, xilofono, arpa e piccole percussioni. Il fine non è suonare ma creare contesti di coesione e condivisione di un’esperienza creativa, di improvvisazione. Anche la biografia musicale dei singoli può essere un modo per ricordare chi è venuto a mancare”.
Che una proposta di questo tipo, di assistenza e sostegno psicologico a chi ha tanto sofferto nei mesi scorsi a causa del Covid-19, sia nata proprio nel cuore della prima Zona Rossa, non stupisce. La vita di questi dieci paesi è sempre stata strettamente legata: si tratta di una vera comunità, quella del Basso Lodigiano. Qui credo che non troverete nessuno che abbia il coraggio di dire che il Coronavirus non c’è stato: tutti conoscono personalmente qualcuno che è morto, o qualcuno che è stato per settimane in terapia intensiva; e anche i medici e gli infermieri che sono stati in prima linea a combattere contro il virus. La stessa Associazione il Samaritano ha perso due volontari a causa del Covid. E molti operatori hanno subito gravi lutti in famiglia.
“Facciamo parte della Federazione Cure Palliative – spiega il presidente della Onlus, l’oncologo Roberto Franchi – sicuramente questo tipo di iniziativa è la prima in Italia. Per noi del Samaritano dal 21 febbraio è cambiato il mondo, è stata chiusa ogni attività di contatto. Siamo riusciti a proporre iniziative adatte alla pandemia, come portare i tablet nelle corsie per far rivedere i familiari ai ricoverati, ma per il resto siamo stati costretti a fermarci ”. Una situazione grave ma inevitabile, per arginare le diffusione del contagio, in luoghi sensibili come le strutture sanitarie.
“Lavorando come oncologo negli hospice questo è un momento tristissimo, perché i volontari portavano la vita in questi luoghi, con le loro attività e anche semplicemente con la loro compagnia – continua il dottor Franchi, tra i fondatori dell’Associazione Il Samaritano nel 1988 – ora i malati sono chiusi nelle loro stanze, aspettando di morire. Manca anche il rapporto con gli operatori, il contatto, ci sono le mascherine che compromettono la comunicazione. Il nuovo progetto Da qui in poi è per noi un modo per ripartire e andare incontro ai bisogni della gente, in sicurezza, permettendo a chi ha sofferto così tanto di trovare un canale per esprimere il proprio dolore e comunicare”.
Da qui in poi è patrocinato dalla Provincia di Lodi, dai 10 comuni della Zona Rossa (Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Bertonico, Castelgerundo, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia e Terranova dei Passerini). Per informazioni Associazione Il Samaritano Onlus, telefono 351-5596452, mail sostegnolutto@ilsamaritano.org