Un colpo di mano della maggioranza cambia la composizione del consiglio giudiziario. E in una notte uffici e fascicoli vengono assegnati a magistrati diversi. La toga che seguì l'inchiesta su ex ministri e Capi di Stato si occuperà di incidenti stradali. Sottratto al giudice il procedimento contro il leghista Siri. L'ex ras della dc (a processo) profetizzava: "In tribunale facciamo terra da ceci e cambiamo tutto”
C’è un posto, a metà tra Roma e Milano, dove i politici possono cacciare i loro giudici. Senza sollevare questioni d’incompatibilità o altro. E’ la Repubblica di San Marino, l’antica terra della libertà cantata da Carducci, dove una controversa modifica all’ordinamento giudiziario ha consegnato agli eletti le chiavi della giustizia. Gli effetti – denunciano gli stessi magistrati – già si fanno sentire su indagini e procedimenti in corso. Sul “processo del secolo” per il cosiddetto conto Mazzini, che in primo grado ha visto condannati una ventina tra ex politici, ministri e capi di Stato in fase d’appello. La toga che seguì l’inchiesta d’ora in poi si occuperà di incidenti stradali. Effetti anche sul fascicolo, ancora aperto, a carico dell’ex segretario leghista Armando Siri, improvvisamente sottratto al magistrato titolare che viene spedito al civile. Lo stesso dirigente del Tribunale viene silurato in un notte. La notte in cui la politica ha dato scacco alla giustizia.
Una storia che inizia a febbraio, quando i partiti di governo – vale a dire Dc, Rete e Motus Liberi – approvano con procedura d’urgenza una legge che modifica la composizione del Consiglio giudiziario plenario, una sorta di Csm dove siedono anche parlamentari, sbilanciando la composizione a favore della linea della maggioranza. Che ha poi spinto per un’interpretazione retroattiva dalla quale discendesse l’annullabilità di tutte le delibere assunte negli ultimi due anni dal Consiglio Plenario. E’ l’espediente per la girandola di incarichi e per liberarsi dei giudici scomodi.
Torna in sella l’ex dirigente del tribunale unico Valeria Pierfelici, vicina alla maggioranza, che era stata sfiduciata nel marzo 2018 dai suoi stessi colleghi, al posto del costituzionalista italiano Giovanni Guzzetta. Lei si dimette la sera stessa, ma non prima di aver rimescolato l’organizzazione degli uffici, sciogliendo i pool investigativi, destinando alle controversie stradali il coordinatore del processo sul “conto Mazzini”, riassegnando i fascicoli delicatissimi come quello su Siri che viene sottratto a Laura Di Bona, dirottata dal penale al civile. Perfino i procedimenti penali che riguardano direttamente la Pierfelici, lamentano i colleghi, scompaiono nel nulla.
In sostanza, un colpo di mano per inibire l’iniziativa dei magistrati e interferire sui procedimenti in corso. Non la pensano così, ovviamente, dalle parti del Consiglio Grande e Generale, in pratica il Parlamento di San Marino. La maggioranza fa quadrato attorno alla sua norma e accusa semmai i giudici di porsi “al di fuori della legge”, ormai approvata, con volontà eversiva. “Se vogliono fare atti politici che si candidino e vengano eletti”, taglia corto il consigliere del Movimento civico Rete Matteo Zeppa, presidente della Commissione Affari di Giustizia che esprime i componenti politici del Consiglio Giudiziario Plenario.
In realtà i politici sognavano di sostituirsi ai giudici. E lo dicevano pure. Il senso dell’operazione di autarchia giudiziaria in corso emerge da un audio diffuso dal quotidiano L’Informazione lo scorso novembre. “In tribunale facciamo terra da ceci e cambiamo tutto”, diceva Gabriele Gatti, per 30 anni l’uomo forte della Dc sammarinese (oggi tornata al governo guidato dal nipote Marco Gatti) che attende la celebrazione di un processo per riciclaggio legato a un giro di tangenti nelle costruzioni. “In tribunale basta far fuori quelli che ci sono dentro (…) La Pierfelici? … probabilmente sarà valorizzata”. Esattamente quel che accade. Chi lo dovrà giudicare, Roberto Battaglino, ha mantenuto l’incarico ma a seguito della riorganizzazione non è più solo decisore ma anche inquirente, con un carico di lavoro che rischia di allungare i tempi del processo per il quale il reato principale di corruzione è già prescritto.
Non a caso è tra i 10 magistrati sanmarinesi, praticamente due terzi dell’organo di autogoverno, che il 27 luglio scorso hanno scritto una lettera al Consiglio d’Europa perché intervenga urgentemente a tutela dell’indipendenza della magistratura del Titano. Insistono sulla predeterminazione dell’interferenza, ricordando come per tre volte avevano chiesto la convocazione del Consiglio giudiziario ordinario per poter contribuire coi propri rilievi a disinnescare gli effetti vendicativi e funesti della nuova norma. Gli viene risposto picche. “La riunione viene fissata solo per il giorno 26 febbraio, a legge approvata”. Per loro resta “la pagina più nera della nostra storia”.
La vicenda chiama effettivamente in causa l’Europa perché San Marino, oltre a chiedere un prestito all’Italia per sistemare i suoi tanti debiti, vorrebbe entrare nell’Unione europea per trovare investitori e collocare sul mercato comune delle banche i suoi prodotti finanziari. Per farlo, deve accreditarsi come un paese pienamente recuperato alla legalità. La pagina nera della giustizia, sostengono i magistrati, non aiuta i sanmarinesi. “Smontare il tribunale – ragiona uno di loro – significa sostanzialmente svuotare di contenuto qualunque certezza del diritto. Chi investirebbe mai in un paese dove qualunque maggioranza politica può svegliarsi, cambiare le leggi a proprio uso e consumo e decidere anche a chi farle applicare? Che credibilità può avere uno Stato dove vengono ignorati, umiliati i giudici che hanno portato avanti tutte le indagini anticorruzione, antiriciclaggio, su reati bancari e fatture false?”.