Finisce davanti alla Commissione europea lo scontro tra la società Sixthcontinent e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). L’accusa mossa contro l’Autorità è pesante: Sixthcontinent avanza infatti diversi dubbi sulla correttezza dell‘Agcm nel procedimento a suo carico appena concluso e invita Bruxelles a fare chiarezza. In particolare si punta il faro su anomalie che avrebbero riguardato fughe di notizie e imparzialità dell’Authority, con conseguenti gravi danni economici e di reputazione. Il ricorso alla Commissione è stato annunciato mercoledì, prima che l’Agcm rendesse nota la sua decisione finale: “indipendentemente dal merito, è la forma che è, a nostro giudizio, quanto mai discutibile”, spiegano dalla società. Com’era nell’aria, il verdetto dell’Autorità è stato negativo: sanzione di 4 milioni di euro poiché Sixthcontinent prospetteva – in modo ingannevole – la convenienza economica dell’adesione alla community e dell’acquisto delle varie shopping card proposte sulla piattaforma. Sono, altresì, emerse diverse condotte di carattere aggressivo della società, adottate unilateralmente a danno di una larga parte dei consumatori aderenti. Per la società la verità è diametralmente opposta. “Noi siamo le vittime di una frode non certo quelli che l’hanno perpetrata”

La vicende è complessa ma intrigante. Occorrono un passo indietro ed alcune premesse. Sixthcontinent è un gruppo statunitense, con controllate in diversi paesi, che vende shopping card con cui si possono poi acquistare,a prezzi scontati, prodotti e servizi di varia natura. La piattaforma è una sorta di ibrido tra un social e un sito e-commerce. Si crea così una comunità di utenti di dimensioni significative che viene poi messa in contatto con i rivenditori. Le aziende che vogliono vendere sulla piattaforma non devono spendere in pubblicità per raggiungere la comunità e questo risparmio si traduce in prezzi scontati per gli utenti e in un guadagno per chi gestisce la piattaforma . Questa la teoria. Per tradurla in pratica la divisione italiana, che conta 750 mila utenti registrati, aveva messo in vendita anche delle card denominate “turbo”, che avevano ottenuto grande successo. In sostanza le carte si pagavano 70 euro ma davano la possibilità di acquistare beni e servizi selezionati per un valore di 100 euro. Lo si poteva fare anche comprando altre shopping card di vari operatori (le classiche carte prepagate di Amazon, rivenditori di benzina, catene della grande distribuzione, etc). L’acquisto di queste card avveniva tipicamente con carta di credito o prepagate.

L’inganno costato oltre 25 milioni – Un gruppo di utenti, in contrasto con quanto prevede il regolamento della società e, forse, con il codice penale (su questo deve pronunciarsi la procura di Milano a cui Sixthcontinent a denunciato la vicenda), ha però trovato il modo di monetizzare i benefici dell’offerta turbo. In altri termine di intascarsi quei 30 euro di differenza tra il costo della shopping card e il valore dei beni acquistabili. Come hanno fatto? Alcuni dei rivenditori offrivano la possibilità, nei loro punti vendita, non solo di spendere le somme della shopping card in acquisto di beni ma anche di convertirle in carte di credito prepagate del valore, appunto, di 100 euro. A quel punto il gioco ricominciava dalla casella di partenza ma con sempre più soldi. Con la nuova carta prepagata si compravano altre shopping card, per un ammontare sempre crescente, che poi nuovamente si convertono in altre carte prepagate e così via. Una macchina da soldi che può generare una crescita dei guadagni quasi esponenziale. Un’operazione scaltra e ingegnosa, per ammissione della stessa Sixthcontinent, messa in piedi da soggetti avvezzi a maneggiare queste tecniche, spesso anche attraverso l’uso di account multipli (oltre il limite di 5 fissato dal regolamento della piattaforma) gestisti in automatico. Il danno per la società è consistente: almeno 25 milioni di euro, che la costringono alcuni mesi fa a varare una ricapitalizzazione da 18 milioni. L’inganno viene alla luce quando una società di revisione si mette ad esaminare conti e procedure in vista della prossima quotazione del gruppo. A quel punto una cinquantina di utenti coinvolti nell’uso giudicato irregolare delle card vengono identificati l contattati dall’ufficio legale della società, e le cifre sui loro conti presso la piattaforma congelati (saranno poi restituiti).

Il ricorso all’Agcm degli utenti bloccati – Diciannove degli utenti bloccati si rivolgono a questo punto all’Agcm contestando la decisione di Sixthcontinent. A febbraio l’Autorità apre quindi un procedimento istruttorio nei confronti della società, in cui si contesta la violazione dei diritti dei consumatori. L’esito finale, come già detto, da ragione agli utenti e sanziona la piattaforma. Già nel corso delle indagini l’Agcm aveva però chiesto alla società di sospendere il blocco degli utenti e togliere le limitazioni all’utilizzo della shopping card già acquistate. Sixthcontinent aveva quindi decisodi rivolgersi ai giudici amministrativi impugnando la decisione di Agcm.

I dubbi di Sixthcontinent sulla correttezza dell’Autorità – Ma oltre che sul merito delle decisioni la società ritiene che “nel procedimento istruttorio si sono verificate anomalie tali da mettere in dubbio la correttezza e l’imparzialità degli Uffici inquirenti”. In particolare, “nel corso dei nove mesi di pendenza dell’indagine, numerosi atti coperti dal più rigoroso segreto istruttorio sono diventati di dominio pubblico e sono apparsi nel web indiscrezioni circa gli sviluppi del procedimento istruttorio, poi puntualmente verificatisi“. “Tali indiscrezioni hanno comportato – argomenta Sixthcontinent -la violazione del principio di presunzione di innocenza e l’insorgere di gravissimi e irreparabili danni (patrimoniali e d’immagine), ancor prima di una definitiva presa di posizione nel merito da parte dell’Agcm”. Per contro dalle carte del provvedimento dell’Authority si evince che la condotta della società, tra blocchi degli account, ritardo nell’attivazione di alcune carte, e conversione “forzosa” di alcune card in cediti da spendere unicamente sulla piattaforma, avrebbe causato un danno illegittimo a circa 500 mila utenti. Tutte misure che la società afferma invece di aver dovuto adottare per tutelarsi da vecchie e nuove frodi. L’ardua sentenza finale spetta ora a Bruxelles.

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