Adesso la scelta diventa semplicemente un azzardo. Se esonerare Sarri dopo l’eliminazione in Champions contro Lione e un campionato vinto senza convincere poteva avere un senso, prendere Andrea Pirlo come suo successore è una scommessa molto rischiosa: significa mettere sul tavolo gli ultimi nove scudetti e l’egemonia di un decennio, per inseguire il sogno della Champions e la favola del campione sul campo che diventa campione anche in panchina.
Andrea Agnelli ci ha messo meno di 24 ore a chiudere la parentesi Sarri – appena un anno, che ha portato uno scudetto e zero entusiasmo – e ad aprire la molto più suggestiva “era Pirlo”. Segno che l’idea gli ronzava già da tempo nella testa. Ed in effetti gli habitué di casa bianconera sanno che il progetto era già stato pianificato: la nomina di Pirlo come tecnico dell’under23 andava proprio in questa direzione, doveva preparare il terreno, complice magari un buon campionato di Serie C e le recensioni entusiaste della stampa, alla successione nell’estate 2021. La figuraccia europea ha costretto però Agnelli a bruciare le tappe.
Il patron bianconero è convinto che Pirlo possa essere l’uomo della svolta anche in panchina, proprio come lo era stato in campo per la prima Juve di Conte, che grazie alla sua regia inaugurò il nuovo ciclo. In questo non fa altro che inseguire la suggestione di illustri predecessori: Pep Guardiola, Zinedine Zidane, Luis Enrique, ma mettiamoci pure Roberto Mancini e Simone Inzaghi. Grandi giocatori che sono diventati anche, chi più chi meno, grandi allenatori, catapultati dall’oggi al domani dal campo alla panchina.
Tutti loro una qualche esperienza da tecnico l’hanno fatta: chi come allenatore della primavera o della squadra B, chi come vice, chi in provincia a far gavetta preziosa (pensiamo a Pippo Inzaghi, disastroso in rossonero al suo primo anno e ora dominatore della Serie B col Benevento). Il paragone più vicino è probabilmente quello dell’attuale ct azzurro, a cui fu subito affidata la panchina della Fiorentina e che all’epoca fu infatti bollato come “raccomandato”, etichetta che ci ha messo una vita a staccarsi di dosso; ma persino lui un minimo di tirocinio l’aveva fatto. Pirlo invece no, non ha mai allenato. Nemmeno un giorno della sua vita. Fabio Capello, uno che di allenatori se ne intende, non ha dubbi: “Ha idee avanzate di calcio”. Sicuro, ma quali idee? Non si sa se preferisce l’attacco o la difesa, il trequartista o le due punte, la difesa a tre o a quattro. Probabilmente gliene avrà parlato, ma non lo sa nemmeno Agnelli, perché nessuno, neanche lui, ha mai visto una sua squadra.
Pirlo allenatore della squadra nove volte campione d’Italia è letteralmente un salto nel buio. E non solo perché l’ultima stagione ha dimostrato come i problemi della Juventus non fossero in panchina, non soltanto almeno, ma nella dirigenza che ha costruito una rosa imperfetta, nel bilancio traballante, nella squadra sempre più vecchia e meno tecnica. Adesso non potrà più nemmeno contare nell’esperienza di un allenatore navigato, abituato a gestire pressione e complicazioni, capace di mantenere al vertice la squadra più forte. Si punta tutto sull’entusiasmo, sulla novità, sulla juventinità. Per vincere la Champions che tre top allenatori diversi hanno mancato, per rendere più divertente ed europea una squadra che nemmeno il tecnico che ha giocato il calcio più spettacolare del decennio è riuscita a cambiare, ci si affida a un ex calciatore, un campione del mondo, un simbolo, tutto fuorché un allenatore (non per il momento, almeno). La scommessa è totale.
Qualcuno in realtà potrebbe interpretarla anche come una scelta low-cost (in un momento finanziariamente difficile il club non ha inseguito un top manager dallo stipendio a sette zeri). Una soluzione di comodo (a parte Pochettino, tutti gli altri papabili per la successione erano difficili da raggiungere), in nome dell’autogestione di uno spogliatoio dove Ronaldo e i senatori sono sempre più insofferenti alle indicazioni di tecnici ideologici (come è stato con Sarri). Ma probabilmente Agnelli stavolta si è lasciato guidare più dal cuore, che dalla testa o dal portafoglio. Lo aveva già fatto nel 2011 con Conte, l’unico allenatore scelto davvero in prima persona, l’origine di tutte le fortune della Juventus. Adesso ci riprova di nuovo. Se andrà male, però, stavolta non ci sarà nessun tecnico o dirigente su cui scaricare le colpe del fallimento.
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