Tutto accade in questa settimana coi sessant’anni dell’Indipendenza. Lunedì il Niger, mercoledì il Burkina Faso dell’assassinato Thomas Sankara e venerdì 7 agosto è stata la volta della Costa d’Avorio. Il primo giorno del mese è stato il turno della (poco) Repubblica del Togo. Ancora in settimana la memoria dell’atomica di Hiroshima, la festa della trasfigurazione e, lo stesso giorno, la morte di 40 migranti al largo della Mauritania in viaggio verso le isole Canarie. Potremmo aggiungere, se non bastasse, l’anniversario che cade l’8 agosto del 1956, della morte di 262 minatori italiani a Marcinelle nel Belgio col carbone frutto di accordi con l’industria. C’è una parola che col-lega queste vicende apparentemente disparate alle quali, per rispetto ai morti e ai feriti, dovremmo aggiungere quanto accaduto a Beirut nel Libano. Tradimento è la parola che, forse meglio di altre, incarna il sentimento che attraversa la cronaca.
Nel Niger, per celebrare l’anniversario dell’indipendenza, si è andato consolidando l’uso di piantare alberi. Anche quest’anno, il sessantesimo, il presidente della Repubblica ha proceduto alla stessa operazione dei suoi predecessori, ricordando che la terra non è tanto un’eredità degli antenati quanto ‘un prestito preso ai propri figli’. Il tema scelto quest’anno sarebbe tutto un programma: ‘investire nella restaurazione del patrimonio forestale è investire sul futuro’. Nel Sahel, regione del mondo dove la siccità colpisce più acutamente, la desertificazione continua ad avanzare. L’azione (del tutto simbolica) di piantare alberi, avrebbe un senso solo e se la politica, naufragata tra colpi di Stato e transizioni incerte, mettesse al proprio centro i poveri che sono la maggioranza dei cittadini. Piantare la giustizia ogni giorno avrebbe potuto creare l’unico argine possibile al tradimento perpetrato in questi sessant’anni di indipendenza.
Eppure, conosciuto come l’anno dell’Africa, il 1960 ha marcato l’indipendenza di 17 Paesi africani: 14 l’hanno ottenuta dalla Francia, 2 dalla Gran Bretagna e un Paese dal Belgio. Nel mese di agosto 9 Paesi ne celebrano l’anniversario. Il tradimento di cui si parla ha radici e ragioni lontane. Dalla storia che dalla schiavitù, l’infamia assoluta che avrebbe segnato il corpo e l’immaginario di intere generazioni, è passata all’epoca coloniale per giungere all’attuale situazione di finte indipendenze di ‘sabbia’, esiste una innegabile continuità. Le migliaia di migranti che hanno perso la vita (oltre 40mila dal 1990), soprattutto di origine subsahariana e i 40 giovani di questi giorni sono un’infamia per i Paesi che celebrano gli anniversari, per i Paesi di transito e per soprattutto per quelli di destinazione. Questi ultimi mettono in atto, tradendo la loro conclamata attenzione ai diritti umani, la peggiore delle politiche: la morte alle loro frontiere.
I 40 giovani sepolti nel mare sono stati traditi nel più sacro dei diritti, quello di immaginare un futuro differente e così è stato per i minatori che erano partiti in Belgio per assicurare un altro futuro alle proprie famiglie. I morti di Hiroshima e Nagasaki, comuni cittadini, che nella ‘trasfigurazione’ di luce dell’atomica ha ‘sfigurato’ il volto di una civiltà che produce e usa armi per distruggere.
Chi scrive ha avuto il privilegio di passare qualche giorno a Noaudibou in Mauritania, da dove sono probabilmente salpati i 40 migranti. Era tutto blindato, con elicotteri e navi che pattugliavano il mare e il deserto col Marocco. Faceva buona mostra di sé la ‘Guardia Civil’ spagnola… che assicurava la ‘sicurezza’ della Spagna. Lo stesso accade adesso nel deserto del Sahel, da tempo militarizzato e reso a suo malgrado nuova frontiera delle politiche di ‘esternalizzazione’ delle frontiere dell’Europa.
Solo che l’Africa non è un continente ma un ventre. Un grembo di donna che non smette di accogliere, per-donare e rigenerare orizzonti di imprevedibile novità. Sarà lei, saranno loro, le donne che tra-diranno ai loro figli la folle saggezza che cambierà il mondo.
Niamey, 8 agosto 2020