Dai quasi "mille morti al giorno" alla "impennata dei contagi" fino alle "fughe verso Sud". Dal 7 al 9 di marzo cambia tutto e l'esecutivo decide, a partire dal 10, di isolare tutto il Paese. "Visto quello che sta succedendo negli altri Paesi, credo che la linea adottata sia stata quella giusta". A dirlo è il dirigente della Protezione civile, Fabio Ciciliano, che si occupa di trasmettere i verbali del Comitato tecnico-scientifico al governo
La linea “è stata quella giusta“. Perché dal 7 al 9 di marzo, quando viene firmato il Dcpm che dà il via libera al lockdwon nazionale, “è cambiata la situazione”. C’erano i “mille morti al giorno“, ma anche la “fuga verso il Sud” con le stazioni dei treni improvvisamente piene. “C’era sì il rischio di prendere misure non efficaci”, visto l’impennata di contagi di quei giorni, “ma così non è stato“.
A parlare è l’uomo dei verbali, Fabio Ciciliano. Il dirigente della Protezione civile, infatti, si occupa dall’inizio dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 di “armonizzare” le posizioni delle varie anime del Comitato tecnico-scientifico per poi trasmettere le note al governo. Compresa quella tanto discussa del 7 di marzo, rivelata dalla Fondazioni Einaudi dopo una battaglia legale, in cui il Cts suggerisce sostanzialmente di chiudere la Lombardia e altre 11 province più colpite. Ma non accenna alla quarantena per tutta l’Italia. Mentre il governo, il 9 marzo, decide per una chiusura dal 10, perché i dati dei contagi preoccupavano e le “fughe al Sud” di quei giorni destavano preoccupazione.
Una cronologia che ha sollevato critiche e accuse all’esecutivo, da parte delle opposizioni e di molti giornali, di aver fatto “di testa propria” senza ascoltare le linee guida. Ora l’uomo dei verbali spiega che non è andata così. E che in quel periodo lo scenario cambiava molto rapidamente, e peggiorava drasticamente. Ciciliano, in un’intervista al Corriere della Sera, conferma quanto nei giorni scorsi era stato ricostruito da IlFattoQuotidiano.it. E cioè che da quel sabato al lunedì successivo era, di fatto, cambiato il mondo. Perché le infezioni da coronavirus erano aumentate in modo esponenziale ed era “necessario essere rapidi e veloci. Non è vero che non siamo stati ascoltati: noi diamo pareri tecnici, poi è il decisore politico che prende le iniziative. E visto quello che sta accadendo negli altri Stati“, è uno dei passaggi rilevanti dell’intervista, “ritengo che la linea adottata sia stata quella giusta“. I “nostri pareri si basano sempre sull’andamento della curva epidemiologica“, ha ribadito Ciciliano al quotidiano di via Solferino, “in quei tre giorni ha avuto un’impennata e il governo ha deciso di chiudere l’Italia. Non c’è stato alcun contrasto col Comitato tecnico-scientifico”. Un’analisi condivisa anche dal viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, che nei giorni scorsi ha ricordato come “i dati cambiavano di ora in ora. La mattina ci riunivamo con certi dati e dopo qualche ora erano già diversi. Per esempio”, ha spiegato, “ciò che è stato detto il 2 di marzo, il 3 già poteva essere meno valido. Sarebbe bastata una persona positiva che si spostava in un’altra città per far partire una nuova epidemia”. La conclusione del viceministro è che la scelta di chiudere l’Italia è stata “coraggiosa, la migliore mai fatta. Abbiamo fatto risparmiare circa 600mila vite. Non lo dico io, ma la scienza”.
Ciciliano ha smentito anche quella che nel Paese, sui media, è stata definita una “secretazione di atti“. In realtà “non c’è alcun atto secretato. Semplicemente è stato ritenuto più opportuno non diffonderli per tutelare i cittadini che si possono fare influenzare da valutazioni cliniche. C’era il rischio che gli italiani seguissero noi e non le disposizioni del governo? No, magari il contrario”. Per esempio, commentato il dirigente della Protezione civile, “sulla Milano-Sanremo abbiamo dato parere negativo ed è stata autorizzata. E il caso più eclatante è quello dei trasporti pubblici: noi pensiamo che sia rischioso viaggiare con tutti i posti occupati, ma alcune Regioni hanno deciso di non seguire questo suggerimento”. Il riferimento è al caos scoppiato sul trasporto pubblico locale, con le istituzioni locali che hanno agito in ordine sparso. I presidenti di Regione del Nord Italia, Lombardia e Liguria in testa, avevano deciso di disattendere l’obbligo imposto dal ministero della Salute che introduceva il limite del 50% dei posti occupati.
Intanto le opposizioni, Matteo Salvini in testa, stanno attaccando Giuseppe Conte dal giorno della pubblicazione dei primi verbali. Il refrain del leader della Lega, impegnato in queste ore in Toscana per lanciare la volata alla candidata del centrodestra Susanna Ceccardi, è sempre lo stesso: “Il governo, col lockdown, ha sequestrato mezza Italia senza motivo“. Peccato che lo stesso ex ministro, proprio il 10 di marzo (con la quarantena in corso), ribadiva insieme a Giorgia Meloni e Antonio Tajani che era “necessario chiudere tutto. Perché se si salvaguardia la salute dei cittadini, riparte anche l’economia”. Accanto al leader della Lega, tuttavia, si stanno schierando diversi giornali italiani. Non solo, come sarebbe lecito aspettarsi, quelli di area centrodestra. Dopo la diffusione della note del Cts del 7 marzo, infatti, le principali testate nazionali hanno puntato sul fatto che il governo non avesse ascoltato i suggerimenti degli scienziati e che, in sostanza, si fosse inventato dal nulla il lockdown. Questa mattina, poi, il Messaggero, accanto ai vari “dati falsati, Conte si contraddice”, “ora Palazzo Chigi ha paura (dei pm, ndr)” e “rischi di abuso di potere”, mette in evidenza come “bar e ristoranti” abbiano dato “le carte agli avvocati per i danni causati dal procurato allarme”. In pratica, oltre alla class action dei lavoratori delle Isole Eolie, a chiedere risarcimenti allo Stato è pronta anche la Fipe-Confcommercio, l’associazione che rappresenta 350mila imprese legate alla ristorazione. Il motivo? Il procurato allarme in alcune Regioni in cui, a detta loro, non c’era “l’elemento del rischio” Covid.