Federico Rampini, Carlo Cottarelli, Pietro Ichino e qualche altro. Sono il gruppo di commentatori da salotto TV che a mio avviso giocano a trovare il nemico dell’Italia nei dipendenti pubblici in smartworking. Strano, sono gli stessi ai quali i neologismi in lingua inglese piacciono molto.
Rampini ha definito i dipendenti pubblici i “sabotatori della Rinascita italiana”. No, non si riferisce a quelle aziende che vogliono i soldi pubblici per poi andare a non pagare le tasse in Olanda. No, non sono quei “prenditori” che prima mettono i dipendenti in cassa integrazione e poi chiedono loro di andare lo stesso a lavorare.
No, non sono quelle aziende che sostengono che i fattorini sono “lavoratori autonomi” e si devono sobbarcare il “rischio d’impresa”. No, non sono quelle imprese della sanità privatizzata (vedi Lombardia) che si sono dedicate più a rastrellare soldi pubblici che a fornire servizi. No, non sono quelle aziende (Atlantia dice qualcosa?) che hanno sfruttato i monopoli naturali per accumulare profitti stratosferici.
No, i sabotatori d’Italia, e della Sardegna, sono i dipendenti pubblici. Ma non erano gli eroi? Non erano gli infermieri, i vigili del fuoco, coloro i quali hanno fatto funzionare il pubblico durante la crisi, persone a cui dire grazie? Crisi finita, basta, stop, fine. Da eroi a sabotatori. Non è chiara quale fonte sia stata consultata da questi signori. Ci sono decine e decine di studiosi che si stanno applicando sul tema, ma poco importa.
Poco importa sapere che lo “smartworking” del lockdown è stato “lavoro a casa forzato”, realizzato senza un progetto ed una organizzazione. Poco importa se è stato un modo per permettere alla società di mandare a casa le figlie e figli, senza offrire nulla in cambio, anche se entrambi i genitori lavorano. Ci sarà chi studierà, in modo scientifico, cosa è stato il “lavoro a casa forzato” durante il lockdown.
Dalla nostra Sardegna abbiamo avuto, prima del lockdown, l’esempio del Comune di Cagliari. Al Comune di Cagliari assessori e dirigenti, nel 2019, hanno ammesso che con il telelavoro e lavoro agile la produttività di chi ha usufruito di queste possibilità è aumentata del 30%. Sono affermazioni dell’assessore e dei dirigenti, confermate poi ad un convegno tenuto nel 2019 a Cagliari.
Cosa significa tutto questo? Significa che ci sono occasioni che devono essere sfruttate. L’occasione di poter lavorare da casa permette, nella pubblica amministrazione, di ripensare le modalità di lavoro, la sua organizzazione, le linee funzionali, e contemporaneamente permette di avere meno pendolari, e magari di conciliare meglio vita privata e vita personale. Capisco che per chi guadagna ogni mese cifre molto più alte di un dipendente pubblico possa avere poco senso, per gli altri ne ha, eccome.
La pubblica amministrazione, ripensata e riorganizzata, con un piano straordinario delle assunzioni che ridia linfa vitale ad una struttura con una età media troppo alta, deve essere la spina dorsale su cui costruire la Sardegna e l’Italia di oggi e di domani. O vogliamo continuare a regalare soldi a chi poi li nasconde all’estero?