Nel Belpaese esiste una innata propensione dei “progressisti” a esprimere politiche conservatrici e a inciuciare con le forze reazionarie. Questo determina inevitabilmente una “aporia della democratizzazione”, per l’assenza di una vera alternanza. Abbiamo tutta una letteratura su questo argomento avvincente, che parte dalle origini dello Stato unitario.
Si tratta di quel “trasformismo” che costituisce una costante della storia nazionale, da Agostino Depretis ai nostri giorni. Antonio Gramsci spiegò come lo stesso Risorgimento si realizzò sotto l’egemonia dei “moderati” e che dopo il 1876 “il così detto “trasformismo” non è stato che l’espressione parlamentare di questa azione egemonica intellettuale, morale e politica”.
La “sinistra storica” fece politiche di destra sotto i vessilli della sinistra. Giustino Fortunato scrisse appunto che i due maggiori partiti “non erano più se non due nomi, i quali non significano se non gruppi, che nessuna idea divideva e nessuna tendenza allontanava”. Persino tra Pci e Dc, secondo Fabio Vander, c’era spesso contrapposizione “nel principio” ma commercium “nel fatto”. La storia del trasformismo e del consociativismo continua of course fino a oggi. Sul tema, consiglio la lettura di Inciucio di Peter Gomez e Marco Travaglio (Bur, 2005) e del più recente La sinistra è di destra di Piero Sansonetti (BUR, 2013).
Non sembra sfuggita a questo inesorabile destino l’attuale maggioranza, almeno sulla questione della legge sindacale per le Forze armate. La proposta di legge, confezionata in Commissione Difesa e approvata a larga maggioranza dalla Camera dei deputati (secondo copione), accoglie in pieno le istanze antiriformatrici di quei gruppi di pressione contrari alla sindacalizzazione e alla modernizzazione degli apparati militari. In Senato, solo un miracolo potrà cambiare le cose, considerata l’“impenetrabile blindatura” (parole rubate a Toni De Marchi) esibita alla Camera.
Tutto orientato a imporre lacci e lacciuoli, il testo risente di una vetusta logica di separazione dei militari dalla società civile e dal mondo del lavoro, già aspramente criticata negli anni Settanta quando si discuteva della democratizzazione della Polizia. Su queste basi, avremo un sindacato molto debole, dotato di scarso potere contrattuale, sottoposto a controllo governativo, lontano dalle confederazioni dei lavoratori, incapace sia di tutelare gli interessi della categoria che di contribuire all’efficienza dell’organizzazione. Non è certo difficile preconizzare le degenerazioni corporative e la nascita di robusti sindacati di comodo. Nemmeno un redivivo governo Tambroni avrebbe partorito una roba del genere.
In Aula, le uniche coraggiose voci fuori dal coro sono state quelle di Alessandra Ermellino (Misto), di Erasmo Palazzotto (Leu) e di Paolo Russo (Fi): i tre deputati hanno manifestato in particolare le loro legittime perplessità riguardo alla giurisdizione del giudice amministrativo sulle condotte antisindacali, che introduce una inspiegabile discriminazione per i lavoratori in divisa.
Per fortuna non si è fatta attendere la netta bocciatura della Cgil: “Il Parlamento sta sprecando una grande occasione per garantire seriamente ai lavoratori delle Forze armate la costituzione di libere associazioni sindacali”, si legge in una nota del 24 luglio. Dello stesso tenore è un comunicato Uil del 6 agosto.
Dispiace molto constatare che i lavori parlamentari per questa deludente legge sindacale si siano svolti in un periodo in cui abbiamo assistito a una preoccupante successione di scandali – neanche a farlo apposta, la Camera ha approvato il testo lo stesso giorno degli arresti di Piacenza – che hanno riguardato le Forze armate. Scandali che al contrario suggerirebbero di favorire la nascita di un sindacato forte, in grado di vigilare sugli abusi, di prevenire e contrastare le pratiche illegali.
Solo un sindacato vero, e non un suo brutto surrogato, potrà promuovere la piena identificazione con gli scopi istituzionali, combattere ogni forma di privatizzazione della funzione pubblica, stimolare la maturazione nei militari di una solida coscienza professionale democratica e costituzionale.
Apprezzabili le parole di Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil: “Se ai militari si consentisse di avere una rappresentanza che li tuteli veramente, se si avviasse una riforma vera, capace di affermare un sistema virtuoso […] probabilmente anche episodi come quello della caserma di Piacenza non avrebbero luogo”.