Secondo la vicepresidente dell’Inps, Marialuisa Gnecchi, a decidere sulla pubblicazione dei nomi dei politici che hanno ottenuto il bonus di 600 euro “deve essere il Garante della privacy“. Ma già ieri gli uffici dell’authority hanno ricordato che la via maestra è la richiesta di accesso agli atti dell’istituto. Che non ha motivo per negarli visto che la legge 33 del 2013 sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni è chiara. L’obbligo di rendere noti i beneficiari di sussidi e contributi statali prevede un‘unica eccezione: i casi in cui da quei dati “sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute o alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati”. Un rischio che non riguarda certo deputati, governatori e consiglieri regionali.
A disciplinare gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni è il decreto legislativo 33 del 2013, cosiddetto Codice della trasparenza, emanato dal governo Monti in attuazione della legge anticorruzione del 2012 e modificato nel 2016 dalla versione italiana del Freedom of information act. L’articolo 26 del Codice, come ricordato dal professor Giorgio Resta in un’intervista al fattoquotidiano.it, dispone che le pubbliche amministrazioni “pubblicano gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere (…) di importo superiore a mille euro” (…) nel corso dell’anno solare al medesimo beneficiario”. Una soglia che in questo caso è stata superata perché chi ha ottenuto il bonus per il mese di marzo l’ha ricevuto in automatico anche per aprile: dunque il beneficio complessivo è stato di 1.200 euro.
Pochi mesi dopo il varo del decreto la delibera 59/2013 dell’Anac – responsabile di vigilare sull’attuazione – ha confermato che l’obbligo riguarda anche gli enti pubblici non economici come l’Inps. La pubblicazione è addirittura “condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a 1000 euro nell’anno solare”. Ed è esclusa in due soli casi: quando i dati identificativi dei destinatari consentano di ricavare informazioni sulla loro salute o la loro situazione di disagio economico. Un’eccezione che senza dubbio vale per la maggior parte degli oltre 4 milioni di beneficiari del bonus, cioè partite Iva, autonomi, cococo iscritti alla gestione separata e stagionali del turismo danneggiati dal lockdown. Ma certo non per chi ha continuato a ricevere un’indennità parlamentare o da consigliere regionale. Soggetti che peraltro, proprio in base alla legge 33/2013, sono tenuti a pubblicare le dichiarazioni patrimoniali e dei redditi da cui l’anno prossimo emergerà anche l’eventuale bonus.
Ma che fare visto che l’Inps oppone la privacy? La legge prevede un iter ben preciso in caso di omessa pubblicazione: la strada da seguire – come sta facendo Il Fatto – è l‘istanza di accesso agli atti, che può essere presentata da qualunque cittadino all’ufficio che detiene i dati o al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’istituto. L’istanza impone all’Inps di attuare il necessario bilanciamento di interessi tra la privacy e il diritto alla trasparenza. Entro 30 giorni l’Inps dovrà rispondere trasmettendo i dati richiesti (o, in questo caso, pubblicandoli sul sito). Se rifiuta, deve motivarlo. In quel caso si può presentare richiesta di riesame. Il Garante privacy viene interpellato nei casi in cui il responsabile trasparenza neghi l’accesso ai dati adducendo motivazioni come la sicurezza e l’ordine pubblico, la difesa e le questioni militari, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato. Se anche il riesame si conclude con un no, c’è la possibilità di ricorrere al Tar. E’ il percorso seguito con successo dalla Fondazione Einaudi per ottenere da Palazzo Chigi la pubblicazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico sulla gestione dell’emergenza Covid.