Calcio

Quando al Trofeo Birra Moretti c’erano gli shootout: l’epoca (ormai lontana) dei tornei estivi che facevano sognare i tifosi

Fino a qualche anno fa, prima delle amichevoli intercontinentali trasmesse sulle pay tv, agosto era il mese dei tornei in chiaro: l’ultima parentesi di sogno prima che la classifica cominciasse a segare le gambe alle ambizioni, partite buone per innamorarsi perdutamente dei nuovi acquisti

Avevano nomi poco fantasiosi, regole tutte particolari e trofei di cui nessuno si ricorda la forma. Perché prima che le pay tv iniziassero a trasmettere a prezzi osceni le amichevoli intercontinentali dei grandi club europei, la bassa definizione del tubo catodico proiettava nei salotti degli italiani le immagini dei tornei estivi nostrani. Ed erano tutti in chiaro. A metà strada fra sperimentazione e showbiz, erano intitolati a sponsor o personaggi scomparsi. Ma, soprattutto, erano una tappa tutta particolare del calcio d’estate. Quella che veniva dopo le corse nei boschi e le gambe a mollo nei torrenti, dopo le amichevoli contro le rappresentative di boscaioli, ma prima dell’avvio della stagione ufficiale. Erano l’ultima parentesi di sogno prima che la classifica cominciasse a segare le gambe alle ambizioni e a ghigliottinare gli allenatori. Partite seriose ma non serie con le quali i tifosi appiccicavano etichette sulla schiena dei calciatori, si innamoravano perdutamente di nuovi acquisti destinati ad afflosciarsi durante il campionato o sottovalutavano i futuri salvatori della propria patria calcistica. Ricordi sbiaditi.

Il più famoso è stato il Trofeo Birra Moretti, triangolare che ha elevato a sistema il derby d’Italia fra Juventus e Inter (11 partecipazioni a testa su 12 edizioni fra il 1997 e il 2009) con Napoli, Udinese, Bari, Parma, Lazio, Chelsea, Sampdoria, Palermo e Milan a provare a raccogliere le briciole. Tutto si risolveva in una serata, con tre partite da 45’ spezzettate in due tempi da 22’ (e 30 secondi) e un intervallo di una manciata di minuti. Serviva a fare in modo che i giocatori potessero ascoltare i correttivi dell’allenatore. Ma, soprattutto, a far entrare due bottiglie di birra più alte delle traverse. Boccata d’aria fresca nell’estate bollente, era un trofeo votato alla sperimentazione. Nella prima edizione si decise che le rimesse laterali dovevano essere battute con i piedi. Una scelta che prese in contrattempo tutti. Soprattutto Bergomi che al momento di rimettere in gioco la sfera andò in cortocircuito e si affidò alle mani. Fischio, controfallo, palla agli avversari.

La Fifa era rimasta affascinata. Tanto che decise di far provare nel Moretti alcune delle possibili novità che voleva introdurre. E così ecco che prima della seconda edizione aveva inviato due lettere ufficiali. Nella prima aveva concesso la possibilità di utilizzare il doppio arbitro, nella seconda l’aveva cancellata. Poco male, perché il 1998 è stato l’anno delle sette sostituzioni, dei corner corti, degli shootout al posto dei rigori. Un’edizione che ha dovuto fare a meno di alcuni pezzi da Novanta (come Ronaldo), ma che non ha potuto rinunciare alle polemiche. Perché era la prima volta che Inter e Juventus si affrontavano dopo il placcaggio in area di Iuliano su Ronaldo non fischiato da Ceccherini. Un reboot al veleno che si concluderà con l’Udinese che alza il trofeo.

Forse è per questo che nell’edizione successiva non ci sarà la Juventus, mentre l’Inter si presenterà senza alcuni giocatori fondamentali. Non c’è Ronaldo, ma non c’è neanche Zamorano, in vacanza in Cile dove si è iscritto anche a una scuola di canto. Nel 2003 venti giornalisti e fotografi arrivano dal Giappone per vedere Atsushi Yanagisawa, il nuovo attaccante della Sampdoria. “Yanagisawa è un personaggio dalle nostre parti – dicono – Oltre a essere un bravo attaccante, è anche un ragazzo solare e divertente. Se dovesse fare gol contro Juventus o Inter, un articolo in prima pagina non glielo toglie nessuno”. Il loro viaggio si rivelerà inutile. Perché Yanagisawa con la maglia blucerchiata non segnerà. Mai. Né al Moretti né in Serie A. Non è vero che chi beve birra campa cent’anni. Nel 2008 l’Heineken decide di sospendere per un anno il torneo. Peccato che non ricomincerà mai più.

Il 1991 è l’anno di nascita del Trofeo Luigi Berlusconi, fortemente voluto dal futuro fondatore di Forza Italia per omaggiare la memoria del padre. L’idea è quella di un torneo nobile, con il Milan chiamato ogni anno ad affrontare un club che ha vinto se non la Coppa dei Campioni, quantomeno la sua versione sudamericana, la Copa Libertadores. La prima sfida fra Diavolo e Juventus sembra un qualcosa di così serio che Rinus Michels, ritornato sulla panchina dell’Olanda, chiede addirittura a Rijkaard (che da un anno rifiuta la convocazione in Nazionale) un biglietto per assistere alla gara. Nel 2005, invece, le paure di tutti gli allenatori prendono forma. Perché non c’è niente di peggio che perdere un giocatore fondamentale per una partita di calcio estivo. All’11’ della ripresa Buffon esce basso su Kakà. Il portiere della Juventus viene portato fuori in barella. Lussazione della spalla, dicono i medici. Due settimane di stop, affermano i chirurghi. Così, a titolo di indennizzo, il Milan decide di prestare Abbiati alla Vecchia Signora. Nel corso degli anni, però, il torneo comincia a perdere seguito e importanza. E quando Berlusconi vende il Milan, il Luigi Berlusconi diventerà solo un ricordo.

Ha raggiunto la pubertà anche il Trofeo Tim, quindici edizioni fra il 2001 e il 2016 con le tre grandi del nostro calcio presenti in pianta stabile per una dozzina d’anni per poi aprire a Sassuolo e Celta Vigo. Durante la prima edizione della coppa Inzaghi, passato al Milan dopo essere stato rimpiazzato in bianconero da Trezeguet, si dice sicuro: “Senza me e Zizou credo che la Juventus abbia perso qualcosa in attacco”. Il presente gli dà ragione: il Diavolo batte la Signora grazie a un gol di Kaladze e si porta a casa il Trofeo. Il futuro, invece, è più severo: a fine anno la Juventus vincerà il campionato e Trezeguet si aggiudicherà il titolo di capocannoniere della Serie A (anche se in condominio con Dario Hubner). Ma questa è un’altra storia.